
Ne erano nate perfino società segrete di alchemica ricerca, sette legate ad altre sette per “settare” il magnifico sogno di trasformare il piombo in metallo pregiato e incorruttibile, la materia più volgare in quella degna di ogni ammirazione per la sua lucentezza, resistenza, incorruttibilità: l’oro, con cui si costruivano le maschere dei re defunti e di cui gli imperatori amavano ornarsi e ornare chi gli stava vicino e le residenze, mentre d’oro erano le monete di pregio, quelle più rare, e d’oro erano perfino le suppellettili di certe corti.
E quanta letteratura c’è stata dietro agli alchimisti, a questi sognatori della chimica che si voleva assoggettare alle loro volontà, dal medioevo ai primi dell’Ottocento, mentre una selva enorme di personaggi, più o meno controversi, più o meno affidabili, ci viene incontro tra alambicchi e celle segrete, formule chimiche e lanterne cieche, compresi personaggi illustri che su queta branca primitiva della mutazione alchemica hanno speso fortune, come il sempre nominato Nicolas Flamel, associato alla leggendaria pietra filosofale, che, oltre a dare l’eterna giovinezza, aveva la capacità appunto di trasformare in oro i metalli più vili come appunto il piombo.
Ma alchimiste illustre, e degno prototipo di ogni imbroglio, fu il conte Cagliostro, meglio noto come Giuseppe Balsamo, benchè di alchimia si sia interessato pure un padre della chiesa come San Tommaso d’Aquino o un eretico come Giordano Bruno.
Ebbene quel sogno antico, e funesto, di trasformare il piombo in oro, secondo le antiche prescrizioni alchemiche e le visioni della pietra filosofale, lo ha realizzato, nel terzo millennio, un enorme acceleratore di particelle, detto LHC del Cern di Ginevra, il più potente acceleratore del mondo con i suoi 27 km di circonferenza.
Che ne direbbe Nicolas Flamel ci pare scontato, meno scontato se sapesse che al Cern per arrivare a produrre qualche milionesimo di grammo di oro il procedimento è quantomeno complesso, perché occorre che due nuclei di piombo, viaggiando in direzioni opposte alla velocità della luce, si sfiorino cosicché i campi elettromagnetici possono strappare almeno un neutrone e fino a tre protoni.
In questo modo il piombo, che di protoni ne contiene 82, può diventare oro, che di protoni invece ne ha 79.
E tutto questo traffico, direbbero gli alchimisti prima citati, solo per produrre “86 miliardi di nuclei d’oro che in realtà corrispondono a 29 milionesimi di milionesimi di grammo. Inoltre, i nuclei d’oro prodotti in queste collisioni scompaiono dopo una piccolissima frazione di secondo perché vanno subito a schiantarsi frammentandosi in singoli protoni, neutroni e altre particelle”.
La scienza dunque un’altra volta la vince sulla fantasia e sull’antico sogno, ma nello stesso tempo delude, e non solo il progetto dei bianchi barbuti ricercatori dei secoli passati, accompagnati da gufi e corvi, ma anche noi, tra computer e I.A., perché, se tecnicamente la materia vile può diventare oro e dunque il sogno realtà, diventare ricchi in questo modo rimane in ogni caso una chimera.