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Il presidente Fidae Lombardia: educazione e responsabilità

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Le letture interessanti capitano, forse non troppo di frequente. Si potrebbero fare scoperte interessanti se – al bivio della novità o della diversità rispetto alle proprie convinzioni granitiche – si scegliesse di confrontarsi senza pregiudizi, lasciando da parte eventuali fini secondari o le pressioni di chi urla più forte…
E allora capita di imbattersi in un testo semplice e lineare “Scuola inutile? Proviamo con il pluralismo” della preside Michela D’Oro (pubblicato sul quotidiano “La Sicilia”, 12 aprile 2014). Un testo che rimanda alle ragioni fondanti. Una fra tutte: l’Italia, culturalmente, sta morendo, nel totale scollamento tra scuola superiore e università, nella negazione di gravissimi problemi di pura “qualità dell’insegnamento”…basta capitare nella “sezione” sbagliata” ed è la fine. Disoccupazione assicurata. Degrado culturale.
Il solo fatto di essere “cittadino” implica un ruolo e una responsabilità di servizio dai quali non ci si può esimere. Già tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento gli intellettuali sono chiamati a collaborare alla “cosa pubblica” ricevendo incarichi di responsabilità; a volte sono accreditati come consulenti per migliorare la legislazione e controllare l’opportunità di scelte fondamentali, in ambito monetario o nei rapporti commerciali.
Se chiedessimo – in un clima di fantastoria – al Parini, al Verri, al Beccaria, al Manzoni, a che titolo parlavano e denunciavano le cadute e le ingiustizie dell’epoca, certamente ci sentiremmo rispondere con un pizzico di stupore rispetto alla domanda: “I care!”.
Allora la domanda è d’obbligo: l’Italia oggi è carente di pensatori o è troppo ricca di “contenitori”? Non mancano uomini e donne attenti a rivestire un ruolo, tanto apparentemente politically correct, quanto in realtà vuoto di contenuto. Un vuoto che sembra bloccare ogni cambiamento possibile. La sensazione è che ci si ritrova concentrati sul contenitore che risucchia fiumi di parole viziate dall’ideologia e scollegate dalla ragione.
Chi farà uscire l’Italia (l’Europa!) dal tunnel del “non-senso” (politico, economico, culturale, sociale) e i nostri giovani da uno stato di paralisi mentale che non consente alle forze migliori di restare e di lavorare? Occorrono persone coraggiose e scomode – ma non disfattiste – che credono ancora nel bene pubblico come estraneo alla logica del successo personale perseguito a qualunque costo.
Non è più il tempo dei contenitori, bensì dei contenuti: sicuramente la scuola è un reale quanto scomodo punto di partenza.
Non se ne può più di assistere a performance televisive – anche da parte di parlamentari – in cui la bocca non è collegata con l’intelligenza… Vox populi: “Ma dove e come ha studiato questa gente?”. Passi che non tutti i Ministri siano laureati: si spera che abbiano almeno frequentato in modo decente la scuola superiore… A meno che non si affermi (come è avvenuto): “Sono cariche politiche. Non servono. A tutto pensa lo staff…”
Rifondare la Scuola? O “tutta” (la scuola pubblica, statale e paritaria, s’intende, quella del Servizio Nazionale di Istruzione) o “niente”, che equivale al piano inclinato verso il degrado. Non avremo più neppure i cervelli da esportare all’estero. Rifondare la scuola, ovvero: dare spazio a buone idee, a confronti intelligenti e scomodi, a contenuti frutto di anni giovanili di studio, di esperienza, di riflessione; dare spazio a docenti seri, motivati, ben preparati, che sanno parlare italiano e sanno insegnarlo a studenti che non perdono le ore pomeridiane e notturne a chattare schiocchezze (Ahhhhh… Eheheheh….Nooooo….Sìììììì….), a giovani appassionati di arte e di sport, che la scuola sappia valorizzare; dare spazio a dirigenti eroici che esigano tutta l’autonomia di cui hanno bisogno per far funzionare plessi elefanteschi, senza sprechi e senza imposizioni dall’alto, fosse anche il Ministero.
Risollevare la società italiana ponendo come punto di partenza la scuola significa semplicemente intraprendere l’unica battaglia che vale la pena combattere, perché è la sola utile allo scopo…
Garantire la libertà di scelta educativa alla famiglia (art. 30 Cost.) in un pluralismo educativo (art. 33 Cost.) è un passaggio di civiltà che, oltre ad essere sostenibile per lo Stato italiano (come dimostra lo studio sul costo standard), restituirebbe giusta armonia e sviluppo al welfare.
Questo è il cuore della questione, alto sulle visioni miopi e dal fiato corto che mentre ledono la famiglia, distruggono il patrimonio culturale italiano rendendo sempre più povera la nazione e aggravando il già disastroso debito pubblico che si alimenta delle tasse dei cittadini tartassati.
Quel malinteso “senza oneri per lo Stato” all’art. 33, inondato da letture superficiali e ideologiche, senza contestualizzazione con gli articoli che lo precedono e i commi che lo seguono, letture ben lontane dalla levatura dei nostri Costituenti – … l’Italia rimpiange queste figure di cultura – fa imboccare una via che produce gravissimi oneri per lo Stato: il 42% della disoccupazione giovanile, il 44 % dei laureati che ammette di aver sbagliato la scelta della scuola superiore, il 25% di abbandono della scuola dell’obbligo; il 35,7% di Neet, le basse competenze in svariati ambiti culturali dei nostri studenti, la mancata valorizzazione dei docenti migliori, la perdita del pluralismo educativo).
Parliamone… in quanto cittadini e attori responsabili di una società degna di questo nome.
 

Anna Monia Alfieri