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In carcere per mafia, cambia vita e fa il collaboratore scolastico: interdetto dai pubblici uffici, ricorso negato

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Un ATA originario del palermitano che lavorava a Firenze è stato licenziato dal suo incarico. Il motivo? La condanna a tre anni di reclusione e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, confermata dalla Corte di Cassazione, per favoreggiamento mafioso.

La sentenza

Come riporta Il Resto Del Carlino, la condanna è arrivata nel 2023, dopo che l’uomo aveva lasciato la Sicilia per cambiare vita a Firenze. L’uomo, un 39enne avrebbe fatto da ’ponte’ tra due “uomini d’onore” di Cosa Nostra. Lui, all’epoca dei fatti 28enne e dipendente dell’Asl locale, è finito in carcere per qualche mese. E una volta fuori è andato dalla famiglia a Firenze.

La decisione della Suprema Corte è stata depositata il 5 luglio 2023 e tredici giorni dopo l’ufficio territoriale di Firenze del ministero dell’Istruzione gli ha notificato la “sanzione disciplinare del licenziamento”. Il 39enne ha fatto ricorso a febbraio del 2024 e pochi giorni fa è stata emessa sentenza. La sezione lavoro del tribunale di Firenze ha rigettato il ricorso.

“Condotte troppo gravi”

La giudice ha ritenuto troppo gravi le condotte dell’uomo – confermate da lui stesso durante un interrogatorio nel giugno del 2018 –, tenuto anche conto “delle peculiari caratteristiche del settore scolastico” che mira prima di tutto a “assicurare e tutelare le esigenze di educazione e formazione degli studenti”.

A nulla sono serviti i documenti depositati a inizio maggio dai suoi legali, dove si notificava l’accesso alla semilibertà, oltre che l’affidamento in prova ai servizi sociali. Il 39enne – che si è consegnato in carcere quando la sentenza è passata in giudicato – è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali.

Dalle carte dell’indagine emerge che – in più episodi nel 2015 – l’uomo abbia aiutato a eludere investigazioni degli inquirenti. In tre gradi di giudizio – dopo la prima condanna in abbreviato a tre anni – gli è stata riconosciuta l’aggravante mafiosa.

La Cassazione ha infine sottolineato come la pena sia stata “blanda” rispetto a una condotta “grave e reiterata con la quale è stata data copertura ai più autorevoli uomini d’onore di quella zona dell’agrigentino” che hanno così “potuto articolare le proprie fitte trame delittuose”.

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