
Qualche giorno fa un’altra docente, dopo Laura Bonafede, è stata arrestata per aver aiutato in latitanza il boss Matteo Messina Denaro, di cui sarebbe stata sua amante. Alcune colleghe della donna, che insegnava nel trapanese, hanno parlato ai microfoni de La Repubblica.
L’ambiente nella scuola della docente
Una professoressa ha dichiarato che non si aspettava nulla di tutto questo. “Sapevamo da precedenti accenni di indagine che la famiglia della docente era immischiata in vicende mafiose per cui pensavamo che lei fosse stata colpita trasversalmente ma mai ci saremmo immaginati un rapporto così diretto”.
A quanto pare il boss andava spesso a prendere la docente a scuola: “Questa è una scuola molto grande – ha detto un insegnante – abbiamo quasi 800 alunni e 150 insegnanti e all’uscita c’è il delirio. Pensiamo solamente ad andare a casa più in fretta possibile. Fa senso, certamente, questa vicenda ma i presidi di legalità, in Italia, funzionano sulla carta ma poi li fanno le persone”.
“Mi fa strano sapere che una prof era complice di un mafioso anche perché lei è un’educatrice e dovrebbe dare l’esempio”, ha detto una 16enne. Un altro ha affermato: “In classe è sempre stata una brava insegnante”. A negare l’evidenza e a non voler parlare sono in decine, perfino i rappresentanti di Istituto hanno detto di “non voler essere messi in mezzo”.
“Siamo mortificati per questa situazione – ha raccontato una mamma che è anche compaesana della professoressa arrestata – ma se aveva a che fare con Messina Denaro è giusto che paghi. Per me l’importante è che non abbia mai coinvolto e fatto niente ai ragazzi”.
“La scuola è l’unica istituzione che può rompere il ciclo mafioso, ma non è immune. Quando una figura come le amanti di Messina Denaro entra in classe, porta con sé quella contraddizione. Non è detto che insegni i ‘valori mafiosi’. Ma con il suo esempio, silenzioso e ambiguo, mina la credibilità della scuola come presidio di legalità. In questo caso, non è la mafia che si infiltra nelle scuole con la violenza o con l’estorsione. Penetra in modo sottile, attraverso le biografie delle persone che non si sono mai emancipate davvero. Donne che non sono criminali dichiarate, ma che a quanto pare non hanno mai reciso il cordone ombelicale col potere dei clan. La scuola è il luogo della liberazione: forma, educa, rompe le catene del pensiero malavitoso. L’insegnante che copre un boss incarna la più dolorosa contraddizione, perché una donna che ha studiato, si è formata, ha avuto accesso agli strumenti per scegliere, preferisce di servire il crimine”, questo il commento di Lirio Abbate su La Repubblica.
L’arresto della donna
La donna, cinque giorni dopo l’arresto di Messina Denaro andò col suo avvocato in Procura per raccontare la sua storia, dicendo di aver visto in tv il superlatitante e di aver riconosciuto in lui l’uomo con cui aveva avuto una fugace relazione sentimentale. La docente ha detto che non sapeva chi fosse perché a lei si era presentato come Francesco Salsi, anestesista in pensione.
Ma in realtà i pizzini trovati nel covo del boss, le immagini delle diverse videocamere di sorveglianza analizzate dai carabinieri dopo la cattura del latitante e le parentele mafiose della donna – nipote di un capomafia della zona – per gli inquirenti raccontano una storia molto diversa. Per questo i magistrati ne hanno chiesto e ottenuto l’arresto. Dal ruolo di staffetta durante gli spostamenti del boss, a quello di postina, la professoressa sarebbe stata una delle figure chiave della rete di protezione del capomafia. Spesso, come scrive La Repubblica, Messina Denaro la andava a prendere a scuola.
I due si sarebbero conosciuti nel 2017 e non nel 2022 come ha detto lei, hanno avuto una relazione per nulla fugace e, come mostrano le immagini acquisite, si sono frequentati come una normale coppia. Il marito della donna, come riporta Ansa, è finito in prigione per il favoreggiamento di un altro mafioso.