
Tredici racconti di altrettante donne invase da “illu”, come è chiamato il tumore al seno da una delle testimoni che improvvisamente se lo sono trovato dentro, subdolamente acquattato e poi esploso con dolori, fitte e infine accettato con lacrime e disperazione, ma anche con coraggio e dignitosa consapevolezza.
Racconti di sofferenze, di ansie ma soprattutto di vittorie su un male che un tempo aveva la meglio sulla vita: difficile da diagnosticare quasi impossibile da curare. E tante non superavano l’alito del mostro.
Storie, quelle raccontate in questo struggente e intenso libro, “La porta socchiusa. Degenza e convergenza emotiva. A cura di Francesca Catalano, Elda Ferrante e Pina Travagliante”, 12,000 euro, Algra Editrice, che per lo più hanno il filo comune della serenità domestica improvvisamente messa a soqquadro dal cancro che, travolgendo l’esistenza, trasfigura il corpo, deforma i tratti e quelle delicatezze muliebri cui ogni donna è legata, mentre con l’inizio delle terapie, ai degradi fisici si aggiunge la caduta dei capelli e perfino delle sopracciglia. E con esse si rischia di perdere le forze e talvolta pure la speranza.
Nato proprio con lo scopo di fare conoscere ad altre donne, e non solo, le battaglie ingaggiate contro il tumore, col suo sinistro apparire, le strazianti diagnosi, le attese, la ricerca disperata della cura per uscirne, seppure talvolta mutilate, ma salve, il libro intreccia questa sorta di brevi diari, in cui ciascuna donna si confessa con la semplicità di chi ha scampato il pericolo più grave, di chi ha trascorso notti insonni con dentro il male, di chi nella famiglia, nell’amore dei cari ha trovato la forza per lottare, ma anche acchiappata con professionalità dall’attenzione dei medici, quando non dimenticano la loro nobile missione.
Libro intesso, di vita reale, di mamme, figlie, mogli davanti a una porta pericolosamente socchiusa, leggera al soffiar del vento, le curatrici, coi sentimenti altruistici dell’humanitas, hanno chiesto a ciascuna di mettere per iscritto la loro esperienza, affinché essa diventi di conoscenza comune e serva non solo come monito per la prevenzione, ma anche come catarsi e liberazione, sia nel raccontare se stesse, sia nell’affrontare “illu”.