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La scuola contro la devolution

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A sollecitare una nuova e decisa presa di posizione è venuto recentemente lo studio dell’Eurispes, l’Istituto Europeo di Studi Economici, Politici e Sociali, secondo cui la maggioranza delle famiglie italiane è preoccupata per le spinte federalistiche fin qui già entrate nella scuola italiana e per quelle che si prevedono con le contrastate riforme, al momento ancora in Parlamento, relativamente a tre ambiti fondamentali dell’organizzazione statale: la sanità, la sicurezza e la scuola.
Contro la legge n. 52 del 28 marzo 2003, "Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale" avevano già fatto muro compatto le organizzazioni sindacali anche se inascoltate.

Oggi l’Eurispes fa sapere che da uno studio su 1.500 famiglie solo il 22% si è dimostrato favorevole. "Il 62, 7% dei genitori italiani dice no al federalismo scolastico". Significativo che la percentuale dei contrari sia in netta maggioranza soprattutto nel Nord da dove, come sappiamo, per ragioni di cultura sociale e politica vengono le spinte più forti verso il federalismo scolastico.

Le preoccupazioni, è fin troppo noto, affondano le ragioni nel timore, innanzitutto, di una possibile differenziazione dei programmi con conseguenti forti squilibri nella formazione

Al momento il sistema scolastico è ancora abbastanza centralizzato nonostante la quota del 15% che le istituzioni scolastiche hanno a disposizione avvalendosi dell’autonomia di cui godono dal settembre del 2000 e al cui interno possono contestualizzare la loro offerta formativa per meglio rispondere alle specifiche domande dell’utenza.
Un’altra quota, in attuazione alla legge di delega, presumibilmente intorno alla medesima percentuale, sarà riservata alle Regioni con prevedibili rischi di frammentazione e di polarizzazione dell’intero sistema d’istruzione e di formazione.
Da qui la presa di posizione dei sindacati: Enrico Panini, responsabile della Cgil, paventa che, continuando a spingere il decentramento oltre a quello fin qui attuato, "Perderemmo identità e punti di riferimento, senza contare che non si capisce se questa percentuale sia aggiuntiva o alternativa".
Anche Massimo di Menna, responsabile dell’Uil, da parte sua, non esclude che venga rotto "Il carattere unitario del sistema scolastico. I programmi sono come il collante nazionale, pari al ruolo unitario che svolgono l’esercito e la televisione nazionale".

Dai sostenitori della devolution, per alcuni da spingere fino al 20%, non esiste questo pericolo giacché la quota riservata alle Regioni sarebbe utilizzata per approfondire tematiche d’interesse nazionale.

Altri temi, è fin troppo noto, oltre a quello della formulazione dei programmi del futuro, dei Piani di Studio come si dice oggi, costituiscono i nodi della riforma della scuola in senso devolutivo.

Si pensi, per fare qualche esempio, alla gestione del personale, insegnanti e dirigenti, in primis. Le opinioni più conformi all’attuale momento di spinte verso il decentramento ne ipotizzano la gestione attraverso le Regioni. Addirittura il reclutamento dovrebbe entrare nelle loro competenze esclusive.
Le esperienze fin qui fatte in occasione del reclutamento dei dirigenti attraverso il concorso in atto, e riservato ai presidi triennalisti , hanno già evidenziato più di un pericolo.

Serviranno le conclusioni dello studio Eurispes appena pubblicato? Anche queste saranno tenute nel solito non cale ?

La domanda, ovviamente, è retorica. Sappiamo molto bene che la devolution andrà avanti, sarà spinta sempre più, ignara dei guasti fin qui già fatti e di quelli che ognuno si deve aspettare.