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Le riforme scolastiche stanno uccidendo gli istituti professionali

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In qualità d’insegnante tecnico pratico di cucina che ama il proprio lavoro ed è fiero di lavorare nell’istruzione professionale di Stato, mi permetto di condividere la mia modesta analisi sui danni che le riforme scolastiche hanno prodotto e stanno producendo all’I.P.S.

L’istruzione professionale dal 2010 al 2018 ha visto diminuire di circa il 30 % gli iscritti al primo anno di corso, con gli istituti alberghieri che registravano una maggiore tenuta con un calo del 14%.

Mi si conceda semplicità di pensiero, dovendomi immedesimare in un genitore che vuole iscrivere i figli in un istituto Professionale, dalla disamina del quadro orario mi aspetterei di trovare un congruo numero di ore dedicate alle materie professionali che caratterizzano il curricolo.

Mi permetto di dire che sarebbe ovvio, logico ma purtroppo così non è.

L’impoverimento dell’offerta formativa dell’I.P. parte dal taglio orario sancito dal progetto 2002 passando dalle 40 ore settimanali del Progetto 92 a 36 ore settimanali, tagliando 4 ore dell’area di approfondimento. Nel 2010 il D.P.R. 87 DEL 15/03/2010 taglia ulteriormente le ore da 36 a 32 ore diminuendo contestualmente anche le ore dedicate ai laboratori e alle esercitazioni   professionalizzanti.

Introducendo nuove discipline sul primo biennio iniziale. Passando da 13 discipline del progetto 2002 alle 17 discipline previste dal D.P.R. 87 DEL 2010. Nell’ I.P.S.S.E.O.A. ad esempio nel primo biennio a fronte di una riduzione oraria di 4 ore (36-4)= 32 ore sono state introdotte Fisica al primo anno, Chimica al secondo anno,  e T.I.C. ( tecniche informatiche ). Come insegnante e osservatore privilegiato è stato facile capire che la riduzione oraria e l’aumento del numero delle discipline ha favorito la fuga degli studenti dall’istruzione professionale verso l’istruzione tecnica e liceale.

Nel 2017 il d.lgs n 61/17 ha cercato di correre ai ripari proponendo un nuovo modello didattico che rilanciasse l’I.P.S. che a livello teorico è abbondantemente infarcita di modelli didattici e pedagogici dalle indubbie bontà educative e formative. Il risultato prodotto dopo due anni che la riforma viene applicata e proposta a studenti e le famiglie è un ulteriore calo nelle iscrizioni della scelta dell’I.P.S.  per a.s. 2020-21. Se lo scopo del d.lgs n 61/17 doveva essere il rilancio dell’istruzione professionale credo proprio che i dati evidenzino che non stiamo andando nella giusta direzione.

Una ridondante campagna informativa del MIUR pubblicizzava l’aumentare delle ore di laboratorio. In molti istituti professionali questo si è tradotto in più ore per gli insegnanti tecnico pratici ma no in più ore per gli studenti da svolgere in attività laboratoriali.
Negli istituti alberghieri ad esempio l’incremento delle ore di laboratorio sul biennio si è tradotto in copresenze del laboratorio di enogastronomia settore cucina con sala/vendita, scienze integrate, scienze dell’alimentazione accoglienza/turistica ma che nei fatti non hanno prodotto un adeguato aumento delle ore di attività laboratoriale. Delegando alle singole scuole attraverso strumenti quali autonomi, flessibilità oraria una leggera modifica del curricolo proposto dal MIUR. Molto spesso queste modelli organizzativi diventano inapplicabili visto i mille vincoli imposti dalla legge primo tra tutti in non creare esuberi di personale, e il non creare aggravio di spesa pubblica.

Mi viene facile prevedere che a creare altri problemi futuri sarà l’eliminazione prevista dal d.lgs n 61/17 delle articolazioni di “Enogastronima”, “Sala Vendita”, “Accoglienza Turistica” e l’opzione “Prodotti dolciari industriali e Artigianali” creando un profilo unitario e demandando la creazione dei percorsi formativi alle singole scuole in base secondo quanto recita la riforma alle esigenze del territorio (gli stakeholder).  Io da uomo di scuola so bene invece che questi percorsi formativi verranno creati non seguendo le esigenze formative degli studenti e delle richieste del settore produttivo ma in base alla necessità di ogni singola scuola di non creare esuberi di insegnanti perdenti posto.

La volontà del legislatore di demandare ai singoli I.P.S. la creazione dei percorsi formativi e delle  specializzazioni all’interno di un profilo unitario provocherà a mio modesto parere una forte disomogeneità di offerta formativa da istituto a istituto non basato sulle esigenze formative degli studenti o su  richieste di associazioni di categoria e tessuto produttivo ma da vincoli burocratici e gestionali imposti dalla salvaguardi della titolarità dei docenti di ruolo nelle singole scuole.

Interpreto il demandare tutto l’impianto organizzativo dell’I.P.S. alle singole scuole, quindi ai Dirigenti Scolastici, al Consigli D’Istituto e ai Collegi Docenti un voler scaricare e abbandonare ad uno stato di declino un pezzo della scuola secondaria superiore che ha fatto grande il nostro paese formando una parte importante del nostro tessuto produttivo.

Nella piena consapevolezza di non possedere verità assolute, ho cercato di mettere per iscritto personali riflessioni che possano servire da stimolo per RIPENSARE un I.P.S. dove le ore di laboratorio diventino il centro dell’azione e non ci si vergogni di costruire una scuola centrata veramente sul “saper fare” “sul fare consapevole” che è strettamente collegato “al saper essere” che porta alla realizzazione della persona e del cittadino.

Appello che un modesto insegnante come me si permette di rivolgere a chi veramente può lavorare per rilanciare veramente I.P.S. cioè la Buona Politica e il Ministero della Pubblica Istruzione.

 

Matteo Anselmi