Liliana Segre al Senato: il discorso integrale di apertura dei lavori – RIVEDI LA DIRETTA

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Dopo le elezioni politiche del 25 settembre, che hanno decretato la vittoria di Giorgia Meloni con Fratelli d’Italia, oggi 13 ottobre, si aprono i lavori in Camera e Senato, come abbiamo anticipato. La prima seduta del Senato, che aprirà la XIX legislatura, è fissata per le 10.30.

A presiederla, a Palazzo Madama, la senatrice a vita Liliana Segre, in qualità di senatore più anziano vista l’indisponibilità di Giorgio Napolitano, con i suoi 92 anni. La senatrice a vita dalla mezzanotte ricoprirà il ruolo di presidente provvisorio del Senato e anche la seconda carica della Repubblica. In seguito al suo breve discorso, che aprirà la seduta, si procederà alla nomina dei senatori segretari.

Ecco le parole della Segre in vista del suo importante impegno di oggi, riportate da La Repubblica: “Discorso pronto, non mi faccio certo cogliere impreparata. Emozionata, ma abituata a essere me stessa”. La senatrice ha ricordato la sua prima volta che è entrata in Aula: “non sapevo nemmeno dove dovevo sedermi nonostante ci fosse la targhetta, questa volta ho provato anche la sedia e mi hanno anche messo un cuscino per la schiena”.

Inizio dei lavori

A parlare è la senatrice a vita Liliana Segre.

Buongiorno a tutti. Colleghe senatrici, colleghi senatori, rivolgo il più caloroso saluto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a quest’aula. Con rispetto rivolgo un pensiero a Papa Francesco. Certa di interpretare i sentimenti di tutta l’assemblea, desidero indirizzare al Presidente emerito Giorgio Napolitano, che non ha potuto presiedere la seduta odierna, i più fervidi auguri e la speranza di vederlo ritornare presto, ristabilito in Senato. Il presidente Napolitano mi incarica di condividere con voi queste sue parole: “Desidero esprimere a tutte le senatrici e i senatori di vecchia e nuova nomina, i migliori auguri di buon lavoro al servizio esclusivo del nostro Paese e delle istituzioni parlamentari alle quali ho dedicato ampia parte della mia vita”.

Anche io, ovviamente, rivolgo un saluto particolarmente caloroso a tutte le nuove colleghe e a tutti i nuovi colleghi che immagino sopraffatti dal pensiero della responsabilità che li attende e dall’austera solennità di quest’aula, così come fu per me quando vi entrai per la prima volta in punta di piedi.

Come da consuetudine vorrei esprimere alcune brevi considerazioni personali. Incombe su tutti noi, in queste settimane, l’atmosfera agghiacciante della guerra, tornata nella nostra Europa, vicino a noi, con tutto il suo carico di morte, distruzione, crudeltà, terrore in una follia senza fine. Mi unisco alle parole puntuali del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “La pace è urgente e necessaria, la via per ricostruirla passa da un ristabilimento della verità, del diritto internazionale, della libertà del popolo ucraino”.

Oggi sono particolarmente emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva. In questo mese di ottobre, nel quale cade il centenario della Marcia su Roma, che diede inizio alla dittatura fascista, tocca proprio a me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica. Il valore simbolico di questa circostanza casuale, si amplifica nella mia mente perché ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre ed è impossibile per me non provare una specie di vertigine, ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco della scuola elementare e che quella stessa oggi si trova per uno strano destino, addirittura, sul banco più prestigioso del Senato.

Il Senato della XIX legislatura è un’istituzione profondamente rinnovata, non solo negli equilibri politici e nelle persone degli eletti, non solo perché per la prima volta hanno potuto votare anche per questa camera i giovani dai 18 ai 25 anni, ma soprattutto perché per la prima volta gli eletti sono ridotti a 200. L’appartenenza a un così rarefatto consenso non può che accrescere in tutti noi la consapevolezza che il Paese ci guarda e che grandi sono le nostre responsabilità, ma al tempo stesso grandi le opportunità di dare l’esempio. Dare l’esempio non vuol dire solo fare il nostro semplice dovere, cioè adempiere al nostro ufficio con disciplina e onore, impegnarsi per servire le istituzioni e non per servirsi di esse. Potremmo anche concederci il piacere di lasciare fuori da questa assemblea la politica urlata che tanto ha contribuito a far crescere la disaffezione dal voto. Interpretando, invece, una politica alta e nobile che, senza nulla togliere alla fermezza dei diversi convincimenti, dia prova di rispetto per gli avversari. Si apra sinceramente all’ascolto, si esprima con gentilezza, perfino con mitezza.

Le elezioni del 25 settembre hanno visto, com’è giusto che sia, una vivace competizione tra i diversi schieramenti che hanno presentato al Paese programmi alternativi e visioni spesso contrapposte. Il popolo ha deciso, è l’essenza della democrazia. La maggioranza uscita dalle urne ha il diritto-dovere di governare; le minoranze hanno il compito, altrettanto fondamentale, di fare opposizione. Comune a tutti deve essere l’imperativo di preservare le istituzioni della Repubblica, che sono di tutti e non sono proprietà di nessuno, che devono operare nell’interesse del Paese, che devono garantire tutte le parti.

Le grandi democrazie mature dimostrano di essere tali se al di sopra delle divisioni partitiche e dell’esercizio dei diversi ruoli sanno ritrovarsi unite in un nucleo essenziale di valori condivisi, istituzioni rispettate, gli emblemi riconosciuti.

In Italia il principale ancoraggio attorno al quale deve manifestarsi l’unità del nostro popolo è la Costituzione repubblicana che, come dice Pietro Calamandrei, non è un pezzo di carta, ma il testamento di centomila morti caduti nella lunga lotta per la libertà, una lotta che non inizia nel settembre del 1943, ma che vede idealmente come capofila Giacomo Matteotti. Il popolo italiano ha sempre dimostrato un grande attaccamento alla sua Costituzione. L’ha sempre sentita amica. In ogni occasione in cui sono stati interpellati, i cittadini hanno sempre scelto di difenderla, perché da essa si sono sentiti difesi. E anche quando il Parlamento non ha saputo rispondere alla richiesta di intervenire su normative non conformi ai principi costituzionali, e purtroppo questo è accaduto spesso, la nostra carta fondamentale ha consentito comunque alla Corte Costituzionale e alla Magistratura di svolgere un prezioso lavoro di applicazione giurisprudenziale, facendo sempre evolvere il diritto.

Naturalmente anche la Costituzione è perfettibile e può essere emendata come essa stessa prevede all’art. 138. Ma consentitemi di osservare che se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione, peraltro con risultati modesti, allora peggiorativi, fossero state, invece, impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice. Il pensiero corre inevitabilmente all’articolo 3, nel quale i padri e le madri costituenti non si accontentarono di bandire quelle discriminazioni basate su sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali che erano state l’essenza dell’ancien régime, essi vollero anche lasciare un compito perpetuo alla Repubblica: rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Non è poesia e non è utopia: è la stella polare che dovrebbe guidarci tutti, anche se abbiamo programmi diversi per seguirla, rimuovere gli ostacoli.

Le grandi nazioni dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività civili, ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria. Perché non dovrebbe essere così per il popolo italiano? Perché mai dovrebbero essere vissute come date divisive anziché con autentico spirito Repubblicano? 25 aprile, festa della Liberazione, 1° maggio, festa del Lavoro, 2 giugno, festa della Repubblica: anche su questo tema, dalla piena condivisione delle feste nazionali, delle date che scandiscono un patto tra le generazioni, tra memoria e futuro, grande potrebbe essere il valore dell’esempio, di gesti nuovi e magari inattesi.

Altro terreno sul quale è auspicabile il superamento degli steccati e l’assunzione di una comune responsabilità è la lotta contro la diffusione del linguaggio dell’odio contro l’imbarbarimento del dibattito pubblico e contro la violenza dei pregiudizi e delle discriminazioni.

Permettetemi di ricordare un precedente virtuoso nella passata legislatura: i lavori della commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza. Questi lavori si sono conclusi con l’approvazione all’unanimità di un documento di indirizzo, segno di una consapevolezza e di una volontà trasversali agli schieramenti politici che è essenziale permangano.

Concludo con due auguri: mi auguro che la nuova legislatura veda un impegno concorde di tutti i membri di questa assemblea per tenere alto il prestigio del Senato, tutelare in modo sostanziale le sue prerogative, riaffermare nei fatti e non a parole la centralità del Parlamento. Da molto tempo viene lamentata da più parti una deriva, una mortificazione del ruolo del potere legislativo a causa dell’abuso della decretazione d’urgenza e del ricorso al voto di fiducia. Le gravi emergenze che hanno caratterizzato gli ultimi anni non potevano che aggravare la tendenza. Nella mia ingenuità di madre di famiglia, ma anche secondo il mio fermo convincimento, credo che occorra interrompere la lunga serie di errori del passato e per questo basterebbe che la maggioranza si ricordasse degli abusi che denunciava da parte dei governi quando era minoranza e che le minoranze si ricordassero degli eccessi che imputavano alle opposizioni quando erano loro a governare: una sana e leale collaborazione istituzionale, senza nulla togliere alla fisiologica distinzione dei ruoli, consentirebbe di riportare la gran parte della produzione legislativa nel suo alveo naturale, garantendo al tempo stesso tempi certi per le votazioni.

Auspico, infine, che tutto il Parlamento, con unità di intenti, sappia mettere in campo, in collaborazione con il Governo, un impegno straordinario e urgentissimo per rispondere al grido di dolore che giunge da tante famiglie, da tante imprese che si dibattono sotto i colpi dell’inflazione e dell’eccezionale impennata dei costi dell’energia, che vedono un futuro nero, che temono che disuguaglianze e ingiustizie si dilatino ulteriormente anziché ridursi. In questo senso avremo sempre a nostro fianco l’Unione Europea con i suoi valori e la concreta solidarietà di cui si è mostrata capace negli ultimi anni di grave crisi sanitaria e sociale.

Non c’è un momento da perdere. Dalle istituzioni democratiche deve venire il segnale chiaro che nessuno verrà lasciato solo prima che la paura e la rabbia possano raggiungere livelli di guardia e tracimare.

Senatrici e Senatori, cari colleghi, buon lavoro.