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L’Islanda introduce parità salariale tra uomo e donna. In Italia c’è già, ma…

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Dal 1 gennaio l’Islanda è il primo Paese al mondo a sanzionare per legge le aziende e le pubbliche amministrazioni che paghino le donne meno degli uomini.

La nuova norma è valida per le società con più di 25 dipendenti, che dovranno ottenere un certificato del governo che provi la loro aderenza ai nuovi criteri. Chi non sarà in grado di provare il rispetto delle nuove regole, sarà sottoposto a sanzioni economiche.

L’Islanda non è nuova a misure che promuovano l’uguaglianza tra uomo e donna tanto che negli ultimi nove anni è stata al primo posto della lista dei paesi più avanti nella parità di genere stilata dal World Economic Forum.

Il report analizza il divario di genere attraverso quattro parametri: partecipazione alla crescita economica, risultati accademici, salute e aspettativa di vita e partecipazione alla politica. Una classifica che, per intenderci, vede gli Stati Uniti al 49esimo posto, davanti al Kazakistan ma dietro l’Uganda. Per non parlare dell’Italia, dove il divario tra uomini e donne ha fatto piombare il Paese all’82esimo posto in classifica (su 144 posizioni complessive), con un crollo di ben 22 posizioni nell’arco di un solo anno.

Il “gender pay gap”, secondo la formula anglosassone, persiste ancora però nell’Islanda, sebbene sia stato abbattuto del 10% dal 2006, quando il divario ha iniziato a essere misurato. L’obiettivo del governo è eliminarlo entro il 2022.

In Italia

In Italia, così come riporta Il Sole 24 Ore, la legge prevede la parità retributiva fra uomini e donne. Non solo. Nel nostro Paese è in vigore anche l’articolo 46 del Decreto Legislativo 11 aprile 2006 n. 198 (ex art. 9 L. 125/91), (modificato dal D. Legislativo 25 gennaio 2010 n. 5 in attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione). Articolo che prevede che “le aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta”.

Il vero problema è solo far applicare le leggi una volta che è arrivato il via libera dal Parlamento.