Home Attualità Mario Sechi e la “lezioncina” agli insegnanti sul termine deportazione

Mario Sechi e la “lezioncina” agli insegnanti sul termine deportazione

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Nelle pagine de Il Foglio si pubblica un articolo pungente e astioso di Mario Sechi contro gli insegnati, rei di aver usato a sproposito il termine “deportazione” per indicare i trasferimenti d’ufficio da sud a nord riguardanti le recenti immissioni in ruolo della fase B.

Mario Sechi scrive: “E tutti usano quella parola, “deportazione”, come se fosse normale, senza contrappuntare, spiegare che si tratta di un uso rivoltato e rivoltante della parola. Leggete la cronaca. Direzione Mediterraneo. Studiate la storia. Destinazione Auschwitz. Tornate sui banchi di scuola. Vocabolario Treccani. Deportazione: ‘Condannare alla pena della deportazione; trasportare, accompagnare il condannato nel luogo stabilito per la deportazione: al tempo degli zar, i condannati politici venivano spesso deportati in Siberia. Per estensione, trasportare nel luogo di pena, quando questo sia fuori dei confini della patria: Pellico fu deportato nella fortezza dello Spielberg; anche, trasferire coattivamente in campi di lavoro o di concentramento (talora anche di sterminio) lontani dalla madrepatria gruppi o masse di cittadini, perché invisi o sospetti, o come misura di carattere politico o militare, in periodo bellico o d’occupazione: durante la seconda guerra mondiale, ingenti masse di Ebrei sono state deportate nei Lager nazisti’. Ecco, cari maestrini e professoroni, questo significa deportare. Le parole sono le cose, il loro uso scombinato fa schizzare da tutte le parti il frullato avariato dei cervelli”.
Senza scomodare fatti storici drammatici, possiamo considerare semplicemente la “deportazione” come il trasferimento coattivo di un individuo o un gruppo di individui poi obbligati a risiedere in un luogo diverso dal proprio dove vi vengono condotti con la forza. Già la forza di una legge (107/15) per cui, indipendentemente dalle parole usate da maestrini e professoroni, la regione Puglia ha attivato un ricorso alla Corte Costituzionale per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 29, 47, 66, 68, 69, 74, 126, 153, 155, 162, 171, 181, lett. e), n. 1.3), e 183, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), per violazione degli articoli 117, terzo e sesto comma, 118, primo comma, e 119 della Costituzione.