
La seconda prova scritta di Matematica per la maturità 2025 ha suscitato apprezzamenti da più parti per la sua “eleganza teorica” e per il tentativo di intrecciare matematica e cultura umanistica. Tuttavia, a una lettura più attenta e critica, emergono con chiarezza alcuni limiti strutturali già noti e ampiamente discussi negli anni passati, ma ancora una volta ignorati: l’assenza di problemi realistici, la mancanza di interdisciplinarità autentica e la consolidata scelta di un’impostazione troppo rigida e teorica.
La prova ha offerto agli studenti due problemi alternativi, entrambi basati su studi di funzione: uno introdotto da una citazione di Cartesio, l’altro da Platone. Frasi evocative, certo, ma che non hanno prodotto alcuna reale connessione con il contenuto matematico proposto, né hanno contribuito a creare un impianto interdisciplinare coerente. Al contrario: si è assistito a un esercizio puramente formale, in cui il riferimento culturale è rimasto decorativo, più utile a costruire una narrazione retorica che a proporre una reale caratterizzazione dei saperi.
Questa tendenza alla matematica autoreferenziale non è nuova. Già nelle prove del 2022, 2023 e 2024 il fulcro era lo studio teorico di funzioni o strutture geometriche prive di legame con il mondo reale. Anche quando si è sfiorato un contesto applicativo o nell’uso del calcolo integrale, non si è mai andati oltre il richiamo superficiale. Nel 2025, questa traiettoria non solo prosegue, ma si irrigidisce ulteriormente, consolidando una prassi che rischia di svuotare la disciplina del suo potenziale formativo più ampio.
Il problema più evidente resta l’assenza totale di problemi di realtà, richiesti esplicitamente dalle Indicazioni Nazionali per il liceo scientifico e ribaditi in diversi documenti ministeriali (come le Linee guida per l’Esame di Stato o i testi sulle competenze STEM). La matematica, nella sua versione scolastica più attuale, dovrebbe insegnare agli studenti a modellizzare fenomeni, interpretare dati, costruire argomentazioni fondate su strumenti logico-matematici, anche in contesti interdisciplinari o realistici. Niente di tutto questo era presente nella prova del 2025.
I grandi assenti sono i modelli applicativi fondati su fenomeni concreti, i riferimenti alla statistica e alla probabilità con dati realistici, l’utilizzo di equazioni differenziali in contesti significativi e il contestualizzare situazioni tratte da scienze, economia, tecnica, o persino dalla vita quotidiana. L’effetto complessivo è quello di una matematica ripiegata su sé stessa, incapace di mostrare la propria utilità, la propria apertura e la propria forza espressiva.
Molto si è detto delle citazioni scelte per accompagnare problemi e quesiti. Cartesio e Platone nei problemi principali; Cicerone e Boccioni nei quesiti brevi e Hilbert a coronamento della prova. Ma una citazione non è un progetto interdisciplinare. L’interdisciplinarità autentica richiede progettazione metodologica, sinergia tra linguaggi, analisi di un tema comune da prospettive differenti. Inserire una citazione letteraria o fare riferimento a una scultura futurista per poi risolvere un’esercitazione di geometria analitica o una domanda sulla derivata non rappresenta in alcun modo una contaminazione reale tra i saperi. È un approccio che rischia di banalizzare l’interdisciplinarità, riducendola a orpello, a estetica del compito, anziché farne una leva per rinnovare la didattica e coinvolgere gli studenti in esperienze significative.
Anche la sezione a quesiti brevi, composta da otto domande su temi vari (dalla geometria analitica alla probabilità), non riesce a compensare la rigidità della prova. La difficoltà risulta mal calibrata: si passa da esercizi quasi scolastici, risolvibili meccanicamente, ad altri che richiedono competenze avanzate e astrazione notevole, in un tempo troppo ristretto per una riflessione matura. Il risultato? Una valutazione che premia soprattutto la memorizzazione di procedure e formule, più che il pensiero critico o la flessibilità nella risoluzione dei problemi.
In conclusione, la prova 2025 si conferma formalmente solida, ma pedagogicamente conservativa, ancorata a un modello teorico che ha poco da offrire agli studenti di oggi. È una matematica che ignora il contesto, che non si sporca le mani con i problemi del mondo, che non accoglie la sfida della complessità. È una matematica che cita Cartesio ma dimentica Galileo, che parlava di un sapere “…scritto nel linguaggio della matematica…” proprio per leggere la realtà, non per sfuggirla.
Se davvero vogliamo formare studenti capaci di usare la matematica come strumento di comprensione critica e creativa del mondo, dobbiamo iniziare da prove di esame che valutino le competenze trasversali, applichino la teoria ai contesti, promuovano l’interdisciplinarità autentica. Finché ciò non accadrà, continueremo ad assistere a prove eleganti ma vuote, corrette ma distanti, culturalmente evocative ma didatticamente sterili.
Crisenzia Bilotta