
Qualche giorno fa il docente e scrittore Enrico Galiano ha fatto una riflessione sulla valutazione, i voti a scuola e il fatto che a suo avviso la media aritmetica dei voti in pagella non ha senso. Il suo video ha scatenato molti commenti e lui ha deciso di ribadire alcuni punti.
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Ecco il suo articolo integrale pubblicato su Il Libraio in cui risponde alle obiezioni che gli sono arrivate dopo la pubblicazione del video.
1) “La media è democratica: tocca tutti allo stesso modo”
“No. La media non è democratica. È impersonale. Sono due cose diverse.
Tratta allo stesso modo voti che nascono in momenti, condizioni, livelli di consapevolezza completamente diversi. E lo fa perché è comoda: una scorciatoia travestita da rigore.
Ma l’aritmetica non basta a raccontare l’apprendimento. Perché l’apprendimento non è lineare, non è costante, non è equo. È umano. Ed è fatto anche di inciampi, slanci, svolte improvvise.
2) “Ogni materia è diversa!”
E certo, lo so. Come ogni verifica è diversa. Ogni classe è diversa.
Ma allora la media aritmetica tra argomenti scollegati ha ancora meno senso. Perché sommare voti su contenuti diversi non restituisce una fotografia reale dello studente, ma solo un calcolo freddo e uniforme.
E non tutte le conoscenze hanno lo stesso peso: mica il salumiere assegna lo stesso prezzo al crudo di San Daniele e alla mortadella, no?
Se fai la media aritmetica, stai dicendo che il crudo di San Daniele vale come la mortadella. È comodo e veloce. Ma è scorretto.
3) “È il registro che calcola la media!”
Mi spiace ma: no.
Il registro suggerisce. Ma la responsabilità finale è dell’insegnante. E ogni voto può (e deve) essere motivato, anche se diverso dalla media aritmetica. La scuola non è burocrazia: è discernimento.
4) “La media funziona nelle materie tecniche: matematica, scienze, fisica…”
In realtà anche lì si sviluppano competenze trasversali: logica, problem solving, metodo. Se uno studente sbaglia in geometria ma eccelle in statistica, valuti la media o valuti la capacità complessiva di pensare matematicamente?
5) “Ma se lo studente prende 4 su Dante e 9 su Petrarca?”
Lì la prima cosa da fare è farsi due domande, come per esempio: perché è successo? È stata solo una sua mancanza o qualcosa si poteva migliorare nella didattica?
Dopodiché, è ovvio che bisogna tenerne conto: ma se da un 4 si arriva a un 9, vuol dire che qualcosa è successo. E sarebbe gravissimo ignorarlo solo per restare fedeli a una media.
6) “E se uno studente si impegna tutto l’anno e un altro studia solo all’ultimo?”
Se hai dichiarato che valuterai anche l’impegno, devi tenerne conto. Chi si è impegnato costantemente ha diritto a un riconoscimento. Ma questo non significa che chi è migliorato debba essere “frenato” per pareggiare i conti. Non è una gara tra studenti: è una corsa contro sé stessi.
Prima di mettere una qualsiasi valutazione, non puoi eludere una domanda: cosa sto valutando davvero?
Perché se sto valutando l’apprendimento, allora devo chiedermi: quel voto racconta davvero dove è arrivato lo studente? O è solo la somma dei suoi inciampi?
Nel 1982 l’Italia ai Mondiali di Spagna ha fatto un girone di qualificazione pessimo, qualificandosi dopo molte difficoltà. Ma poi qualcosa è successo, e quel Mondiale lo abbiamo vinto con partite epiche e momenti che sono entrati anche nei libri di storia. Se dovessi dare un voto a quell’Italia, cosa le daresti? 10 alla fase finale e 4 a quella iniziale, quindi 7? Ma seriamente?
Allo stesso modo, se do 6,5 a uno che oggi vale 9, solo perché all’inizio ha fatto fatica… allora sto commettendo un’ingiustizia. E la sto mascherando da oggettività.
Valutare non è punire. Non è archiviare. Non è sommare.
È osservare, capire, scegliere. È dire con un numero non da dove sei partito, ma dove sei riuscito ad arrivare.
E soprattutto: valutare è un atto educativo.
Un voto può spegnere. O può accendere. Dipende da cosa scegli di misurare: le tue certezze, o il suo cambiamento?”.