Home Attualità Meno letture, meno parole, meno intelligenza: mezzo secolo di decrescita del quoziente...

Meno letture, meno parole, meno intelligenza: mezzo secolo di decrescita del quoziente intellettivo

CONDIVIDI

Recenti studi confermano ciò che gli insegnanti ben conoscono: le giovani generazioni — specie nei Paesi sviluppati — sono in media sempre meno intelligenti. Il fenomeno fa il paio con ignoranza grammaticale e impoverimento lessicale.

La mente umana sa pensare solo dopo aver dato nome alle cose. Perciò chi conosce più parole dispone anche di più concetti per descrivere la realtà. Di conseguenza, chi conosce più vocaboli sviluppa meglio il pensiero, fino alla riflessione analitica e critica.

Il QI peggiora da mezzo secolo

Per questo legger libri, giornali e riviste è fondamentale, in quanto permette d’imparar termini nuovi, deducendone il significato dal contesto e abituandosi a comprendere ragionamenti sempre più complessi, fino a elaborare pensieri propri ed originali.

Nel 2018 Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg — due ricercatori del norvegese Ragnar Frisch Centre for Economic Researchhanno studiato il quoziente intellettivo (QI) di 736.000 militari di leva norvegesi in servizio tra 1970 e 2009. I due hanno scoperto che i nati fino al 1975 avevano un QI maggiore delle generazioni passate, secondo un trend — l’effetto Flynn, dal nome del filosofo James Robert Flynn (1934-2020), che lo aveva notato — di crescita progressiva della capacità di ragionamento rispetto alle generazioni passate. Dal 1945 ogni generazione era stata mediamente più intelligente delle precedenti; ma la crescita s’invertiva dal 1975, con effetto Flynn negativo,in base al quale il QI è peggiorato da allora progressivamente.

Chi conosce meno parole è meno capace di ragionamenti complessi

Il problema non son dunque solo gli smartphone: essi han certo aggravato il peggioramento, ma il fenomeno esiste da 50 anni, mentre gli smartphone sono arrivati solo nel 2007. Comunque Bratsberg e Rogeberg attribuiscono l’innesco del peggioramento, per il periodo 1975-2009, alla diminuzione della lettura tra i giovanissimi in favore dei videogame, ma anche al progressivo cambiamento del sistema educativo, nonché alle trasformazioni nello stile di vita e nell’ambiente: come, ad esempio, alimentazione meno sana e sonno di minor durata e qualità. I due studiosi non accennano, quindi, alla diminuzione dell’uso delle parole: ma è ovvio che, diminuendo la lettura, si scarnifica anche il lessico in uso, il numero di parole conosciute diminuisce, trascinando con sé in basso la possibilità di ragionare.

Ultimo trentennio: QI in picchiata

Altri studi (e l’esperienza comune di tutti i docenti) descrivono in Italia un calo ulteriore tra i nati dagli anni ‘90 in poi (tranne, ovviamente, le lodevoli eccezioni che confermano la regola). Il vocabolario s’impoverisce, il congiuntivo è un oggetto sconosciuto, così come il participio passato, l’imperfetto (e la sua differenza col passato remoto), i tempi composti, il futuro anteriore. I ragionamenti, sempre più scarni, riflettono un pensiero volto solo a un onnicomprensivo presente. Maiuscole e minuscole si confondono, anche perché molti studenti scrivono solo in stampatello, non avendo imparato il senso dell’uso della maiuscola e le sfumature di significato che esso denota.

Violenza e totalitarismo: figli entrambi dell’ignoranza

Visto tutto ciò, forse non è casuale l’aumento della violenza tra le giovani generazioni. Infatti, la possibilità di comprendere le proprie emozioni limita l’esplosione della violenza; ma tal comprensione è legata alla capacità di articolare pensieri complessi; i quali, appunto, dipendono dal bagaglio lessicale di cui si dispone.

Siamo dunque in presenza di una situazione distopica, simile a quelle pronosticate da Ray Douglas Bradbury in Fahrenheit 451 o da George Orwell in 1984? Certo è che il totalitarismo si nutre dell’ignoranza generale. Alcuni totalitarismi s’impongono per deculturazione di massa, senza bisogno di violenza esplicita. La società tecnologica veniva considerata totalitaria dai filosofi della Scuola di Francoforte (tra cui Herbert Marcuse): totalitaria in quanto capace di manipolar le coscienze e sottometterle mediante l’industria culturale, onde generalizzare i modi di pensare voluti.

È davvero colpa della “lezione frontale”?

Se un popolo conosce meno parole, confondendone per di più il significato profondo, gli individui che lo compongono sono meno liberi di pensare autonomamente e di immaginare anche solo la possibilità di un cambiamento: soprattutto se mancano loro la dimensione ipotetica e quella temporale.

Non è quindi questione di “strategie didattiche innovative” dal nome anglosassone: il disastro cognitivo delle giovani generazioni attuali non è imputabile alla “lezione frontale” o a metodi didattici superati. Gli studenti d’oggi non conoscono la lingua madre perché non sono più attratti dalla lettura; il che ne impoverisce il lessico; ciò, a sua volta, limita la comprensione sia dello scritto sia del parlato.

Meno conoscenza, meno libertà

Tanto è vero, che non pochi sedicenni confessano candidamente di non riuscire a leggere un libro per più di 15 pagine, e di non andare mai al cinema perché non riescono a seguire la trama dei film. Si può forse affermare che anche il cinema è oramai superato perché la sua modalità di comunicazione è “frontale”?

I genitori devono allenare i figli fin da piccoli ad ascoltare storie, a parlare con loro, a legger fiabe, fumetti, libri, dai più facili ai più complessi. Bisogna abituare i bambini all’idea che non esistono difficoltà insormontabili, e che sforzarsi significa esser liberi. Evitare difficoltà e complessità significa, al contrario, impoverir la mente, condannandola all’atrofia.

Chi ama la libertà, e non vuole il totalitarismo, tenga presente questo principio: meno conoscenze, meno libertà per tutti.