Home I lettori ci scrivono Merito e reclutamento: quando l’esperienza non basta

Merito e reclutamento: quando l’esperienza non basta

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Gentile Ministro Valditara,
come riportato nella mia precedente lettera (“La scuola deve formare al mondo del lavoro?”), torno a scriverle, sempre con spirito costruttivo e con la stessa passione che porto ogni giorno in classe.

Sento il dovere di raccontarle quanto ho osservato nei concorsi e nelle procedure di reclutamento della scuola italiana. Ho partecipato ai più recenti concorsi, arrivando vicino al traguardo, ma senza riuscire a superarli. Ciò che mi ha ferito di più non è tanto il risultato in sé, quanto l’incoerenza di un sistema che da un lato pretende competenze teoriche e pratiche altissime, mentre dall’altro, nella quotidianità scolastica, quegli strumenti non esistono.

Mi è stato chiesto di dimostrare conoscenze su dispositivi che nelle scuole dove insegno non ci sono e che spesso non potranno mai essere acquistati per mancanza di fondi. Ministro, sinceramente: non è una contraddizione profonda?

Come già segnalato, quando chiedo strumenti utili per gli studenti, spesso non ricevo risposta. E se arriva, è sempre la stessa: “Non ci sono soldi.”

Nel frattempo, durante i concorsi si verificano episodi che suscitano perplessità: domande errate, correzioni poco trasparenti, sessioni suppletive con una sola domanda. Si afferma che il concorso premi il merito, ma non sempre è così.

In questi anni ho visto colleghi ottenere il ruolo pur senza una reale padronanza della materia o la capacità di gestire una classe. È la prova che le procedure, per come sono concepite, non premiano sempre il merito e l’esperienza. Mentre alcuni ottengono il ruolo, altri, preparati e con anni di lavoro alle spalle, restano esclusi.

Come se non bastasse, ai docenti precari si chiede un ulteriore esborso economico per poter continuare a insegnare. Si tratta di corsi abilitanti costosi (2.500 euro più spese di iscrizione) spesso lontani dalla propria sede. A questi importi si aggiungono viaggi, vitto e alloggio. A conti fatti, le cifre diventano insostenibili.

I percorsi abilitanti sono a numero chiuso, con posti contingentati per ciascuna università e classe di concorso. In molte regioni non sono attivati per tutti gli indirizzi e non esiste alcuna garanzia di poter accedere.

Un’azienda seria investe nella formazione del personale perché crede nella professionalità. Qui accade l’opposto: si chiede ai docenti di pagare di tasca propria per poter continuare a lavorare. Chi ha insegnato per anni si trova costretto a scegliere: pagare, affrontare disagi, o restare fuori dal sistema.

Il cosiddetto “doppio canale” è rimasto sulla carta. Il merito è legato alla disponibilità economica, non al servizio prestato né alla qualità dell’insegnamento. Possibile che si trovino fondi per tutto, ma non per percorsi abilitanti gratuiti, magari organizzati nelle scuole con le risorse interne?

Ogni anno, grazie al PNRR, si organizzano decine di corsi di formazione, spesso con valenza minima. È davvero impensabile prevedere percorsi abilitanti accessibili e gratuiti, guidati da docenti già in servizio?

Credo che in un sistema pubblico servano trasparenza, pari opportunità e chiarezza. Nonostante la passione, senza accesso ai percorsi abilitanti, molti di noi rischiano di non poter lavorare il prossimo anno. È un sistema che genera ingiustizie e disuguaglianze, alimentando una guerra tra poveri.

Le sembra corretto chiedere a chi insegna da anni di dover pagare per continuare a farlo? È giusto ignorare l’esperienza maturata sul campo? Si può davvero parlare di meritocrazia, se conta solo la possibilità economica di accedere ai percorsi?

Ministro, non chiedo privilegi. Chiedo rispetto e coerenza.

Non so se l’anno prossimo sarò chiamato a insegnare. Lo spero. Se così non fosse, pazienza: guarderò altrove. Ma so che, come me, migliaia di colleghi vivono ogni anno l’incertezza di agosto e settembre, sperando di poter lavorare. È una situazione logorante e umiliante.