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Ministro Valditara: “Mettere al centro la cultura del lavoro già alla primaria”. C’è curiosità di sapere cosa si voglia davvero fare

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Fanno discutere le parole del ministro Giuseppe Valditara sul tema del lavoro: “Riportiamo al centro la cultura del lavoro, proviamo a sperimentare percorsi imprenditoriali alle elementari. Il lavoro è stato un po’ messo da parte in questi ultimi anni”.

Difficile, almeno per il momento, capire dove voglia “andare a parare” il Ministro.
Certo è che il tema non è nuovissimo, perché già ai tempi della ministra Letizia Moratti si parlava delle tre I, Inglese, Internet e Impresa.
Ma adesso il riferimento è a possibili “percorsi imprenditoriali” e allora la questione si complica, e non poco.
Per la verità il tema del lavoro nei programmi della scuola elementare italiana ha avuto un’evoluzione significativa negli ultimi 80 anni.

I programmi del 1945 (eravamo ancora ai tempi della Monarchia) prevedevano addirittura il “Lavoro” come vera e propria materia che, come tale, aveva un suo spazio persino nella pagella.
Per comprendere il senso di quei programmi si deve tenere conto che il Paese stava uscendo da una guerra che durava da 5 anni e che si trattava anche di restituire “fiducia” agli italiani e ai giovani.
Il documento sottolineava che il lavoro deve essere considerato una fonte di vita morale e di benessere economico e, soprattutto, che solo attraverso il lavoro si possono stabilire saldi e pacifici rapporti di collaborazione tra i popoli.
Le esercitazioni di lavoro riguardavano tre ambiti: il lavoro artigiano, il lavoro agricolo e quello femminile.
Nelle prime classi – suggeriscono i Programmi del 1945 – sia per i bambini che per le bambine, si deve partire da un lavoro spontaneo e ricreativo, per giungere gradualmente, nel corso elementare superiore, a un’autentica attività lavorativa, pur tenendo conto delle limitate possibilità e mezzi a disposizione degli alunni in relazione alla loro età. L’obiettivo è sempre quello di ottenere un risultato di pratica utilità.
Quando la natura del lavoro lo consente, si suggerisce anche di costituire piccole cooperative e attuare le più elementari forme di lavoro collettivo o per squadre.
E così si proponse di far svolgere agli alunni piccoli lavori attinenti alla decorazione dell’aula, la sistemazione dell’ambiente scolastico, la preparazione di sussidi per il calcolo e alfabetieri mobili e la ostruzione di giocattoli e oggetti utili scolastici/domestici con materiali facilmente reperibili.
Ovviamente non mancano le proposte di piccoli lavori di giardinaggio e orticoltura e di lavori “femminili” (cucito in particolare).
In sintesi, il documento del 1945 eleva il “Lavoro” a una disciplina scolastica autonoma e fondamentale ed è concepito come un pilastro per la formazione di una coscienza operante che unisce cultura e lavoro.

I programmi del 1955, voluti dal ministro DC Ermini, sostituiscono al lavoro le “Attività manuali e pratiche” (anche per queste è previsto il voto in pagella) che restano in vigore fino al 1985.

Con i Programmi del 1985 il riferimento alle attività “manuali” si riduce di molto questo tipo di attività diventa funzionale alla costruzione del pensiero astratto.
Nelle scienze, per esempio, si enfatizza lo sviluppo di un rapporto stretto tra il “fare” e il “pensare”, dove il “fare” è inteso come “attività concreta manuale e osservativa”, fondamentale per le scienze della natura e lo sviluppo di competenze tecnologiche.

E si arriva così alle Indicazioni Moratti del 2004 che confermano e amplificano un approccio trasversale al concetto di “lavoro” come dimensione fondamentale dell’apprendimento e dello sviluppo della personalità, promuovendo l’operatività, la manipolazione e la collaborazione in un’ottica di formazione integrale dell’alunno.
Non si parla però di “lavoro” o di “attività manuali” come disciplina autonoma come mentre i termini “impresa” o “imprenditore” non compaiono affatto.