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Nella scuola gli stipendi più bassi di tutti i comparti: in 12 anni l’inflazione ha corso di più

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Non solo sul breve, ma anche sul lungo periodo le retribuzioni medie dei docenti e del personale della scuola sono cresciute meno dell’inflazione e di tutti gli altri comparti pubblici e privati: tra il 2001 e il 2012 gli stipendi di docenti e Ata si sono innalzati appena del 29,2%, meno del tasso di inflazione effettivo del periodo (31%) e degli altri settori della PA. Basti pensare che nello stesso periodo le busta paga dei dipendenti in forza a Regioni e Autonomie locali sono state incrementate del 41,6%. E quelle di chi opera per le amministrazioni pubbliche centrali del 40,3%. Addirittura nel settore privato manifatturiero hanno fatto riscontrare un aumento del 45,6%.
I dati sono contenuti nell’ultimo Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti , relativo al secondo semestre 2013, pubblicato dall’Aran in queste ore. E rappresentano la conferma di quanto il mestiere dell’insegnante abbia perso prestigio e valore sociale. Nel registrare i rapporti retributivi dei salari pubblici, aggiornati a tutto il 2012, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale per le PA, “conferma il quadro di sostanziale staticità delle retribuzioni su tutti i settori della Pubblica amministrazione, dovuto alle misure di sospensione della contrattazione nazionale e di congelamento delle retribuzioni, introdotte dal 2010 e vigenti anche per l’anno 2014”.
“La dinamica delle retribuzioni pro-capite di fatto, rilevate dall’Istat, riporta per l’intero aggregato relativo alle Amministrazioni pubbliche una crescita sostanzialmente nulla. Il settore privato registra, invece, un andamento in crescita (+1,2%), con importanti differenze al suo interno fra i Servizi vendibili (+0,6%) e le Attività manifatturiere (+2%). Questo quadro – continua l’Aran – è confermato peraltro da tutte le fonti statistiche disponibili, ivi compresi i dati rilevati dalla Ragioneria generale dello Stato attraverso il conto annuale, pure citati nel Rapporto”.
Tutte queste nuove indicazione danno forza a quanto l’Anief sostiene da tempo: la depauperazione dei dipendenti della scuola ha origine lontane, risale ad oltre 20 anni fa. Tutto ha inizio con il “piano” avviato con il D.lgs. 29/1993, poi ribadito con il D.lgs. 165/01 e con il più recente D.lgs. ‘brunettiano’ 150/09: tutti provvedimenti orientati a disinnescare i diritti previsti dai contratti di comparto. E finalizzati a fare spazio, per ragioni di finanza pubblica, alla privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego. Ma l’equiparazione ai contratti privati non c’è mai stata. Non ha nemmeno “retto” l’aumento del costo della vita degli ultimi 12 anni.
Come degli ultimi 5: tra il 2007 e il 2013 l’inflazione è salita al 12%, mentre gli aumenti disposti dall’ultimo Ccnl 2006-2009 della scuola si sono fermati all’8%. Con 4 punti, quindi, sotto il costo della vita ed uno in meno di tutto il pubblico impiego (9%). Con il contratto ormai bloccato dal 2009 dalla legge Tremonti (122/2010) e dalla proroga voluta dal Governo Letta (DPR 122/2013), nonostante siano stati pagati gli scatti per il biennio 2010-2011 ma ai valori del 2009, grazie ai tagli di 50.000 posti di lavoro e alla riduzione di un terzo del MOF (- 500 milioni di euro).
Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, chiede di compensare questo gap stipendiale rispetto al costo della vita con un indennizzo proporzionale: “se si dovessero adeguare gli stipendi al solo costo dell’inflazione certificata nel periodo 2007-2013 – sostiene il sindacalista – bisognerebbe assegnare 93 euro lorde al mese dall’anno 2010. Altro che 80 euro dal prossimo mese di maggio, come ha annunciato il governo: questo comporterebbe un credito in media di 5.000 euro lordi di arretrati a dipendente”.
“Tuttavia, se si dovessero rapportare gli stipendi a quelli dei docenti Ocde, a parità di lavoro nelle superiori, da quando è stato bloccato il contratto, – continua Pacifico – la cifra quintuplica perché a fine carriera gli stipendi dei nostri insegnanti sono inferiori di 8.000 euro. Ecco perché gli 80 euro promessi dal Governo non bastano. Il credito a dipendente diventa quindi, solo per gli ultimi 5 anni, di 25mila euro. Complessivamente, per pagare anche i soli arretrati servirebbero subito 5 miliardi di euro”.
Ma non è finita. Perché se si considera che il 60% del personale della scuola è over 50, si comprende come la categoria sia la più maltrattata d’Europa. Non stiamo parlando dei 100.000 euro lordi annui dei colleghi del Lussemburgo o delle 50.000 sterline degli inglesi: lo stipendio medio dei docenti italiani (neanche 30.000 euro lordi) è sceso di mille euro negli ultimi sei anni e tutto per colpa del blocco dei contratti nel pubblico impiego. Una scelta, purtroppo, condivisa da diverse organizzazioni sindacali che hanno firmato nel febbraio 2011 un’intesa con il Governo per applicare la riforma Brunetta (d.lgs. 150/2009) già dal prossimo rinnovo contrattuale e cancellare gli stessi scatti di anzianità, e che sembra condivisa dal nuovo ministro Giannini che ha più volte dichiarato di voler abbandonare il sistema della progressione di carriera per anzianità (scatti) per finanziare con il fondo d’istituto, oggi ridotto di un terzo rispetto al 2010, il merito di qualcuno, sempre che trovi i soldi (nuovi tagli) e un sistema oggettivo di valutazione.
In conclusione, lo stipendio base del personale della scuola non è sufficiente rispetto all’aumento del costo della vita, è inadeguato per come la funzione è percepita negli altri Paesi economicamente sviluppati ed è persino regredito in termini di potere d’acquisto. “Per tutte queste ragioni – conclude Pacifico – Anief ha deciso di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per tutelare non soltanto il diritto a un contratto, al lavoro e a una giusta retribuzione ma anche alla parità di trattamento tra i lavoratori italiani ed europei. Esiste anche un’Europa dei Diritti e non soltanto del pareggio di bilancio”.