Home Attualità Pensiero computazionale, un’abilità che andrebbe sviluppata a scuola da bambini

Pensiero computazionale, un’abilità che andrebbe sviluppata a scuola da bambini

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Il pensiero computazionale è una abilità che andrebbe sviluppata sin da bambini, a scuola, perché aiuta a pensare meglio, in modo originale e mai ripetitivo.

Il pensiero computazionale è un concetto introdotto da Janette Wing nel 2006. In un articolo breve la Wing propone il pensiero computazionale come una competenza originale e tipica dell’informatica, utile a tutti.

Questo pensiero generò un appassionato dibattito internazionale e la rimessa in discussione del curriculum della scuola.  Infatti, il pensiero computazionale è riuscito non solo a porre il problema, ma anche ad ottenerne l’introduzione nel curriculum a partire dalla scuola primaria in Inghilterra (dall’anno scolastico 2014-2015), Australia, Francia, Polonia e Finlandia (dall’anno scolastico 2016-2017).

Una recente legge federale degli Stati Uniti, che ha inserito l’informatica tra le materie che fanno parte di Science-Technology-Engineering-Math, e l’iniziativa “Computer Science For All” del presidente Obama stanno aprendo le porte all’introduzione del pensiero computazionale nei curricula degli USA.

In Italia l’introduzione del pensiero computazionale è motivata nella circolare MIUR  del 08/10/ 2015  nel seguente modo:

  • Il lato scientifico-culturale dell’informatica, definito anche “pensiero computazionale”, aiuta a sviluppare competenze logiche e capacità di risolvere problemi in modo creativo ed efficiente, qualità che sono importanti per tutti i futuri cittadini.
  • Il modo più semplice e divertente di sviluppare il “pensiero computazionale” è attraverso la programmazione (coding) in un contesto di gioco.
  • Come previsto anche nel Piano Nazionale Scuola Digitale, un’appropriata educazione al “pensiero computazionale”, che vada al di là dell’iniziale alfabetizzazione digitale, è infatti essenziale affinché le nuove generazioni siano in grado di affrontare la società del futuro non da consumatori passivi ed ignari di tecnologie e servizi, ma da soggetti consapevoli di tutti gli aspetti in gioco e come attori attivamente partecipi del loro sviluppo.