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Pensioni, ma vale la pena lavorare 45 anni per avere un assegno da mille euro?

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I lavoratori italiani sono attesi da un incremento sicuro dell’età pensionabile: salvo improbabili ripensamenti, già dal 1° gennaio 2019 si salirà a 67 anni di età.

Poi, gradualmente, si arriverà alla soglia dei 70 anni. E dall’Inps parlano già di possibile quota 74 anni. Questo, per accedere alla pensione di vecchiaia. Per quella di anzianità, probabilmente tra non molto non basteranno 45 anni anni contributi.

Dall’Istat ci dicono che si tratta di un processo ineludibile, a causa dell’aspettativa di vita crescente. In pratica, vivendo troppo, il cittadino è costretto a rimanere al lavoro più anni. Anche perché i giovani, che che gli dovrebbero pagare la pensione, il lavoro non lo trovano; oppure contribuiscono poco (per via dei contratti atipici) a rinsaldare le casse sempre più rosse dell’Istituto nazionale di previdenza.

Quel che in tanti non sopportano, in questo scenario già di per sé avvilente, mettendosi nei panni dei lavoratori, è che i nostri politici fanno a gara per rilanciare proposte alternative. Di cui, però, al momento non si hanno notizie.

Domenica 9 luglio, leggiamo dalle agenzie, è giunto addirittura un vero e proprio appello da parte di Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, rispettivamente presidenti delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato.

“Pur muovendo da diverse impostazioni sull’assetto del sistema previdenziale – scrivono i due – condividiamo la necessità di un rinvio strutturale dell’adeguamento dell’età di pensione all’aspettativa di vita, che altrimenti la porterebbe a 67 anni a partire dal 2019, almeno in termini tali da introdurre una maggiore gradualità. La manovra Fornero non ha di fatto previsto una vera transizione per cui persone già prossime all’età di pensione all’atto della sua approvazione hanno subito l’allungamento dell’età lavorativa fino a sei anni. Al di la’ delle possibilità di trattamenti anticipati “sociali” o onerosi, il sistema italiano si caratterizza già ora per il primato globale dell’età di pensione”.

 

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“Fermi restando gli obiettivi di sostenibilità nel lungo periodo, un po’ di buon senso aiuterebbe la società a ritrovare fiducia nel sistema previdenziale, a partire dai giovani. Rivolgiamo in tal senso un appello alle colleghe e ai colleghi di tutti i gruppi parlamentari come al Governo”, concludono Damiano e Sacconi. I quali, nei prossimi giorni convocheranno una conferenza stampa per illustrare le ragioni e i contenuti della loro iniziativa.

Di pensioni torna a parlare anche Silvio Berlusconi, che in un’intervista a Rai Parlamento, risponde alla posizione espressa nei giorni scorsi da Andrea Orlando su un’alleanza tra Pd e Fi: “anche io, come Orlando, trovo inquietante e improponibile l’alleanza con il Pd ma questo – sostiene il Cavaliere – non interessa all’Italia. Invece di rispondere ad Orlando dico che dobbiamo ridurre le tasse a famiglie e imprese, creare il reddito di dignità, innalzare le pensioni minime a mille euro. Questo non lo può certo fare un governo della sinistra, mentre noi faremo un vero e propria rivoluzione”.

Berlusconi, quindi, non si sofferma sui requisiti, ma parla di importi pensionistici. In effetti, anche quelli sono destinati a far impallidire gli italiani, perché in media si avvicineranno sempre più ai mille euro. Sia per il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, sia per l’approvazione di altri parametri che andranno a penalizzare l’assegno post-lavoro.

La domanda, allora, è: ma vale la pena lavorare 45 anni per percepire lo stesso assegno pensionistico di chi, come chiede il leader di Forza Italia, non ha versato un giorno di contributi previdenziali?

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