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Professione docente: bilancio di mezza estate

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Siamo ormai abituati ad attendere il nuovo anno scolastico con ansie e preoccupazioni ma forse, mai come quest’anno, il livello di ingiustizia toccato ha gettato nuove ombre sull’esercizio di una delle professioni più importanti per lo sviluppo culturale e sociale del Paese: la professione docente.

Non c’è alcuno dei provvedimenti che il Miur ha adottato in questi ultimi anni che sia ispirato da criteri di equità e giustizia, ai danni dei docenti di ogni ordine e grado, come non c’è alcuna programmazione sistemica che permetta di sentirsi tutelati e valorizzati sull’intero territorio italiano, senza subire disparità. Decisioni estemporanee, frutto della solita logica clientelare, che alimenta contrapposizioni inesistenti che purtroppo, vista la sempre minore possibilità di lavorare (pensiamo all’aumento deghi alunni per classe, all’ipotesi di diminuzione degli anni scolastici della secondaria da cinque a quattro, le riduzioni di organico conseguenti, i dimensionamenti, ecc.) fanno presa, fino a far credere che una qualche categoria abbia dei diritti acquisiti che la pongono in posizione di priorità rispetto ad un’altra.

E così, grazie ad Adida e alla sua determinazione, mentre i diplomati magistrali hanno visto, dopo anni di distorte letture della normativa, riconosciuto il valore del loro titolo, i colleghi della provincia di Bolzano, per una discutibile quanto insensata impostazione dovuta all’autonomia locale, si trovano relegati ancora in III fascia, senza una prospettiva di adeguamento. Nel passaggio dalla III alla II fascia, tuttavia, questi docenti, penalizzati per anni, hanno dovuto subire l’ennesima umiliazione di vedersi collocati in coda, dal momento che non hanno mantenuto il loro punteggio, svalutato ampiamente, attraverso un conteggio del punteggio che rivela un piano ordito a tavolino: i docenti dello stesso ordine di scuola, con altro titolo,

L’aggiornamento delle graduatorie, poi, è stato salutato da una serie di assurdità e l’ingresso in II fascia dei docenti ai quali è stato “concesso” di raggiungere l’ambito titolo abilitante, attraverso i Pas, hanno dovuto subire l’umiliazione di essere valutati in modo significativamente inferiore rispetto ai propri colleghi. Un Paese questo, dove il merito derivante dall’esercizio di una professione, dell’esperienza e dalla stimabilità conseguente non vale nulla! Discutibile quanto insensato il criterio scelto per differenziare il punteggio tra abilitati con i Pas e i Tfa, soprattutto quando molti docenti che hanno frequentato i Pas, non come un favore del Miur ma come la giusta soluzione dopo anni di sfruttamento da precari e dopo la gestione scriteriata dei percorsi abilitanti del passato. Eppure, pur avendo in molti superato brillantemente i test di accesso ai Tfa, risultati idonei ma non in posizione utile per l’accesso, non potranno vantare questo risultato, nonostante il Ministero lo abbia utilizzato quale parametro per valorizzare il “merito” dovuto al superamento dei test di accesso ai corsi abilitanti ordinari. Ottima gestione, quella del Miur, imparziale e a garanzia del cittadino!

E poi la vicenda dei Tfa, con assurdità vecchie e nuove. Senza clamore, Adida ha scelto di sostenere la battaglia, ormai vinta, di prevedere una corsia preferenziale per gli “idonei non ammessi”, che potranno accedere ai Tfa del secondo ciclo senza ripresentarsi ai test preselettivi e selettivi. Il minimo, dopo la cattiva gestione del passato ciclo, quando, a fronte di migliaia di posti non assegnati, questi colleghi non hanno potuto frequentare i corsi, a causa di un decreto che non permetteva il trasferimento degli idonei da un ateneo all’altro.

E poi docenti parcheggiati per anni in Gae che hanno visto sfumare l’immissione in ruolo dopo il Concorsone, il quale, paradosso anche questo, prevedeva l’assunzione immediata e non l’abilitazione. Un’assurda contraddizione: sei adatto ad un’assunzione immediata ma non a restare il lista per un’assunzione futura. E questo anche per tanti diplomati magistrali, idonei ma non vincitori di concorso, esclusi dalle possibilità di assunzione a tempo indeterminato nella scuola paritaria, ma non nella scuola statale.

Oggi, a lavori aperti per i prossimi Tfa, ricominciano i problemi, con test preselettivi zeppi di errori che stanno pregiudicando l’esito di molti aspiranti docenti. Piovono le segnalazioni di quesiti sbagliati o volutamente ingannevoli, come la richiesta di rettifiche che il Ministero sembra voler ignorare, in un’atmosfera di attesa in cui il Miur, noncurante del diritto alla formazione e delle aspettative legittime di quanti, sulla base di un criterio selettivo discutibile quantitativo e non qualitativo, vorrebbero intraprendere un percorso formativo.

Facendo un bilancio grossolano, quindi, in un sistema, quello scolastico, che non risponde più alle esigenze culturali e formative del Paese, l’avvio del nuovo anno scolastico, per il corpo docenti, non può che generare preoccupazioni e frustrazioni. E in questa enumerazione spicciola, manca l’analisi dell’impatto che tutto questo genera sull’intero sistema e sui destinatari del processo formativo ed educativo, gli alunni, dei quali il Miur sembra ignorare l’esistenza, emanando progressivamente provvedimenti che da anni stanno segnando un processo inarrestabile di depauperamento della scuola come istituzione. Sembra quasi che il Ministero abbia deciso di favorire l’affermazione del ricorso come unica forma di tutela del sistema e della professionalità dei docenti, nonostante l’enorme quantità di spesa di denaro pubblico e privato che questa prassi comporta.

Ormai non ci aspettiamo più nulla dal Miur, né da questo governo, che anzi, alla luce dei proclami e delle dichiarazioni d’intenti diffuse sino ad oggi, sembra procedere sul solco tracciato a suo tempo dalla coppia Tremonti Gelmini, gli effetti del quale sono sotto gli occhi di tutti, o almeno di chi in scienza e coscienza nella scuola ci lavora. Ci aspettiamo, però, che vi possa essere una presa di coscienza forte da pare di tutte le categorie che compongono il frastagliato corpo docenti; una presa di coscienza che si configura come presupposto indispensabile per cominciare a contrastare quanto sta calando come una mannaia, miope e ingiusta, ancora una volta sull’intera scuola pubblica italiana.