Home I lettori ci scrivono Qual è stato il Governo che ha riformato di più le pensioni?

Qual è stato il Governo che ha riformato di più le pensioni?

CONDIVIDI

Dal 1992, le riforme delle pensioni sono state sette (Amato, 1992; Dini, 1995; Prodi, 1997; Berlusconi/Maroni, 2004; Prodi/Damiano, 2007; Berlusconi/Sacconi, 2010 e 2011; Monti-Fornero, 2011).

L’esame comparativo delle norme e dei dati smentisce la vulgata che la riforma Fornero sia la più severa, abbia allungato di più l’età di pensionamento ed abbia messo da sola in sicurezza il sistema pensionistico italiano. Tale vulgata è alimentata da coloro che erroneamente o furbescamente attribuiscono norme severe della riforma Sacconi alla riforma Fornero, in particolare l’adeguamento automatico all’aspettativa di vita, che in realtà è stato introdotto dalla L. 122/2010, art. 12, comma 12bis.

La riforma Sacconi (L. 122/2010, L. 111/2011 e L. 148/2011), oltre a Damiano, L. 247/2007, per la “finestra” di 4 mesi in media) è molto più corposa:

– allungamento dell’età di pensionamento di vecchiaia e di anzianità di un anno per i lavoratori dipendenti e di 18 mesi per quelli autonomi, mediante la cosiddetta “finestra” (differimento dell’erogazione);

– allungamento di 5 anni (+ “finestra”) dell’età di pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti pubbliche per equipararle a tutti gli altri a 65 anni (più “finestra”), in ottemperanza alla sentenza della Corte di Giustizia UE del 2008 (ma che poteva avvenire a qualunque età compresa tra 60 e 65);

– adeguamento dell’età di pensionamento per vecchiaia delle lavoratrici del settore privato entro il 2026 (2023, includendo l’adeguamento automatico) per allinearle a tutti gli altri;

– introduzione dell’adeguamento automatico all’aspettativa di vita (L. 122/2010, art. 12, comma 12bis), che prescrive all’ISTAT di considerare nel calcolo dell’aspettativa di vita soltanto gli aumenti e non anche le diminuzioni (art. 12, comma 12ter);

– blocco parziale o totale della perequazione delle pensioni superiori a 5 volte il trattamento minimo (poi abrogato dalla L. 214/2011-Fornero);

– applicazione di un contributo di solidarietà sui redditi pensionistici lordi superiori a 90 mila € (poi dichiarato incostituzionale).

La riforma Fornero (L. 214/2011) ha recato le seguenti misure:

– estensione pro-rata del metodo contributivo a quelli che erano precedentemente esclusi dalla riforma Dini del 1995, che l’ha introdotto (cioè coloro che nel 1995 avevano già 18 anni di contributi versati), a decorrere dall’1.1.2012;

– aumento di un anno delle pensioni di anzianità, ridenominate “anticipate” e abolizione delle cosiddette quote (somma di età anagrafica e anzianità contributiva);

– accelerazione graduale entro il 2018 dell’età di pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti private da 60 anni a 65 (più “finestra” mobile di 12 mesi decisa dalla L. 122/2010), per allinearle a tutti gli altri;

– adeguamento all’aspettativa di vita, dopo quello del 2019, non più a cadenza triennale ma biennale;

– blocco totale della perequazione delle pensioni superiori a 3 volte il trattamento minimo per gli anni 2012–2017 (poi dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 70/2015);

– riduzione da 18 mesi a 12 della “finestra” per i lavoratori autonomi (equiparandoli, dunque, a tutti gli altri).

Riepilogando, la situazione relativamente all’età di pensionamento nel 2019 e ai suoi autori è la seguente:

PENSIONI ANTICIPATE (ex anzianità)

– l’età di pensionamento degli uomini aumenterà a 43 anni e 3 mesi, e, di questi 3 anni e 3 mesi in più, 2 anni e 3 mesi sono pertinenti a SACCONI (4 mesi in media alla riforma Damiano, L.247/07) e soltanto 1 anno a Fornero;

– l’età di pensionamento delle donne aumenterà a 42 anni e 3 mesi, e l’incremento di 2 anni e 3 mesi è quasi interamente dovuto alla riforma SACCONI (4 mesi in media alla riforma Damiano).

PENSIONI DI VECCHIAIA

– l’età di pensionamento degli uomini aumenterà (da 65) a 67 anni e i 2 anni in più sono dovuti quasi interamente alla riforma SACCONI (4 mesi in media alla riforma Damiano, L.247/07);

– l’età di pensionamento delle donne del settore pubblico (aumentata di botto di 6 anni nel 2010) aumenterà a 67 anni e i 7 anni in più sono ascrivibili quasi interamente alla riforma SACCONI (tranne 4 mesi in media alla riforma Damiano);

– l’età di pensionamento delle donne del settore privato aumenterà a 67 anni, e l’allineamento a tutti gli altri, previsto dalla riforma SACCONI entro il 2026 (2023, includendo l’adeguamento automatico), è stato accelerato dalla riforma Fornero entro il 2018 a 66 anni, ma l’anno in più è dovuto all’adeguamento automatico SACCONI;

– l’età di pensionamento degli uomini e delle donne autonomi arriverà a 67 anni, la riforma Fornero ha eliminato il disallineamento di 6 mesi in più rispetto agli altri, che era contemplato dalla riforma SACCONI.

Vincenzo Battipaglia