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“Quota 96”: fatti, per cortesia, non più parole. Diteci come stanno le cose

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Conosco bene il tono di quelle parole di Manuela Ghizzoni. Tale e quale l’ho sentito echeggiare più volte dai tempi della manifestazione del 29 aprile 2012. Ricordate? E francamente, dopo oltre due anni, non vedo nulla di cui gioire oggi né alcun indizio nuovo per leggere il suo commento in positivo.
Si tratta dell’ennesima procrastinazione di un governo – del governo Renzi, nella fattispecie – nel sanare un diritto dei lavoratori della scuola largamente riconosciuto da tutto l’arco partitico in ben tre commissioni parlamentari.
Non mancano l’ostinazione né la voglia di andare fino in fondo da parte dell’indomita deputata democratica. Ed è una cosa encomiabile. Però ciò non può più bastare. No, cari colleghi educatori, non può più assolutamente bastare. Soprattutto non più oggi.
Si ha come l’impressione che questo tunnel di cui si favoleggia da tempo immemorabile – e che avrebbe dovuto lasciarci aprire lo sguardo verso la luce in più occasioni – si sia trasformato in uno specchietto retrovisore attraverso il quale noi non facciamo che vederci se non rivolti all’indietro, cogliendoci sempre come una vita senza futuro, come un eterno presente schiacciato sul passato.
Che il vostro parlare sia SI SI, NO NO, cari governanti demagoghi e ingannatori, una volta per tutte, perché ciò che è in più viene dal maligno. È giunto il momento, e una volta per tutte, di dirci a chiare lettere come stanno le cose.
Il mondo dell’educazione di Quota 96 vuole riappropriarsi della sua vita mutilata e tranciata dal giorno alla notte con quell’errore commesso dalla legge Fornero.
BASTA CON LE MENZOGNE E CON LE MEZZE VERITÀ! Vogliamo FATTI, non più PAROLE.
Ce lo dovete. Ci avete derubato di un diritto acquisito mentre continuate a far ingrassare, dopo la stagione di Tangentopoli, corruttele vergognose di ogni sorta che abbrutiscono sempre di più il grado della nostra già grama repubblica democratica. Noi del Comparto Scuola e dell’Afam siamo dei lavoratori onesti che vorremmo solo che giustizia fosse fatta definitivamente.
Nulla di più.
Lasciateci andare in pensione in modo da restituire quelle quattromila cattedre ad altrettanti giovani precari anche quarantenni che attendono e attendono, come noi che attendiamo e attendiamo
Giuseppe Grasso