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Riflessioni di una maestra di quinta

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Nella mia esperienza di insegnante, prima del coronavirus era consuetudine darsi l’addio con una festa, con l’ultima settimana di gioco nel cortile della scuola, con l’ultima gita scolastica, con la pizza insieme, sciogliersi in un pianto, oppure avvertire il magone, abbracciarsi e suggellare quel tempo con la foto di classe, i regali e i ringraziamenti.

Al tempo del coronavirus tutto ciò si è smarrito. Mi sono interrogata da subito, da quando è iniziata la pandemia, se i nostri politici si siano posti una qualche domanda rispetto le ultime classi di ordine e grado di scuola, a mio avviso, maggiormente penalizzate: le classi finali della scuola dell’infanzia, le quinte della primaria, le terze della scuola secondaria di primo grado, le quinte della secondaria di secondo grado. Dico penalizzate perché, essendo classi in uscita, è come se ogni bambino, adolescente e ragazzo fosse stato abbandonato nel momento più cruciale della sua crescita, della sua vita: la fase di passaggio, la fase di chiusura di un tempo e l’augurio e l’annuncio di una nuova fase. Certo di fronte alla grave crisi economica, alla tragedia per le morti per coronavirus questa mia considerazione assume un valore modesto; eravamo in emergenza, non si poteva che chiudere la scuola per salvaguardare la salute di tutti. E ogni scuola, attivando la dad, ha cercato di tamponare un’emergenza ma qualcosa non mi convince e rischio di passare come la voce stonata di un coro votato alla rassegnazione.

Non mi convince che non si potesse fare un piccolo sforzo per aprire la scuola in sicurezza per le ultime classi, dal 18 maggio in poi. E’ inutile dire che da quel giorno i ragazzi, bambini ecc. si possono incontrare nei parchi, andare in bici, andare dai loro amici, andare in pizzeria o altro. Ma la scuola, chiusa in rigidi protocolli di sicurezza, non ha potuto riaprire! Noi stessi insegnanti per entrare a scuola, che è un edifico grande ed imponente, ritirare qualche nostro libro o altro abbiamo fatto i turni scaglionati ogni 15 minuti con tanto di mascherina, guanti e gel ed un distanziamento controllato a vista come se l’entrare a scuola fosse una cosa pericolosa quanto il camminare su un campo minato. Poi un passo più in là la vita vera, al bar della piazzetta dove si può consumare un caffè con un distanziamento comprensibile e sensato. Prendo l’autobus, la metro ed è impossibile mantenere la distanza di sicurezza, al supermercato ancora si riesce a stare distanziati, prendo il taxi e un vetro in plexiglass divide il passeggero dal conducente, vado al ristorante e mi misurano la temperatura, mi chiedono i dati personali. Gli addii delle classi finali non sono stati presi in considerazione o meglio le classi finali non sono state prese in considerazione! La scuola tutta non è stata presa in considerazione! Anche dietro l’interpretazione delle disposizioni del cts, a mio avviso, c’è un non voler decidere della politica, il non prendersi alcuna responsabilità per lasciare ad altri la responsabilità in un penoso scaricabarile senza senso.

Quando lascio una classe e lascio i miei alunni avverto un arricchimento derivante dalla fiducia nel futuro. Penso che per loro si stia chiudendo il tempo dell’infanzia con tutto il bagaglio di conoscenze ed esperienze e si stia aprendo una nuova opportunità di crescita in tutti i sensi ma in questa situazione, di scuola chiusa e sostituita dalla dad, penso che i bambini abbiano perso molto e che sarà una ferita profonda e difficile da sanare, come un vuoto, un buco nero che nessuno si sia preoccupato ad accogliere.  Per tutto il tempo della dad i miei alunni hanno narrato in testi e poesie la sofferenza dell’essere lontani dai compagni, dalle maestre e narrato il desiderio e la speranza di essere ancora una volta tutti insieme prima di prendere strade diverse. Alla fine il loro desiderio di incontrarsi tutti insieme era così impossibile da realizzare per tempo? E non parlo dell’ultimo giorno di scuola pasticciato fra uno sciopero e l’iniziativa dell’Ascani ma della possibilità di farli ritornare a scuola dal 18 maggio magari nel parco distante poche centinaia di metri.

Ora che è finita la scuola la chat della piattaforma tace, ci sono le ultime emoticon con le lacrime, i cuori infranti, qualcuno che porge i saluti definitivi. Eppure nessuno ci impedirebbe di incontrarci come gruppo classe, di vederci in un parco, fuori dalla responsabilità della scuola per fare quella corsa campestre più volte sospesa a causa del maltempo oppure un pic- nic, essere guidati nella notte a vedere le lucciole, giocare tutti insieme l’ultima volta, farsi le foto e salutarsi dal vivo. Ma quel buio, quel vuoto ha anche diviso, ha lacerato ancora di più la comunità dei genitori e quello che ne ho avuto come restituzione è un silenzio assordante. Il desiderio dei loro figli mi sembra che sia rimasto inascoltato e delegato a qualcun altro, impotenti a prendere una qualche decisione per il bene di tutti, stremati dalla fatica di una dad invasiva ed oppressiva. In compenso i bambini hanno avuto la festa di saluto degli altri compagni della scuola in remoto che è meglio di niente ma niente ha a che fare con la vita vera.

Ora che è finita la scuola abbiamo montagne di scartoffie da riempire e anche se sono immateriali sempre montagne di scartoffie rimangono; fra i nuovi documenti sono previsti i PIA e i PAI tutte misure per rimediare a coloro che ci siamo persi con la dad ma nessuna menzione a quel vuoto o buco nero che è stata la fine della scuola per quelli che non si ritroveranno più come classe. E quel modo di stare insieme gli ultimi giorni di scuola, quell’avvertire che stava per finire qualcosa, quel piangere, quella festa che sarebbe stata loro dedicata, tutto quello che faceva capire che era finito un tempo ben preciso della loro vita per iniziarne un altro non c’è stato.

Adele Nunzio