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“Scuola media”: sessanta anni portati male. E’ necessario (e urgente) un “tagliando”: nostra intervista al pedagogista Fioravanti

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Il dibattito sulla scuola media non si ferma.
Dopo aver raccolto il punto di vista di Cristina Costarelli (ANP Lazio) che vorrebbe l’eliminazione della secondaria di primo grado in modo da dare avvio ad una completa riforma dei cicli, sentiamo oggi il parere di Giovanni Fioravanti, pedagogista, già insegnante e dirigente scolastico di Ferrara.

Ma secondo lei è proprio vero che la “scuola media” è l’anello debole del nostro sistema scolastico?

Direi di sì anche perché i risultati parlano chiaro. La scuola media da unica è restata unica, separata in casa in istituti comprensivi che spesso non hanno saputo divenire comprensivi nonostante dieci anni di Indicazioni nazionali.
Viene il sospetto che la cultura di questo paese e di tanta parte dei suoi insegnanti sia ferma alla scuola di sessant’anni fa o forse anche molti di più a leggere i frequenti inviti a rinverdire la riforma Gentile rilanciati dalle pagine dei nostri quotidiani nazionali.

D’altra parte la scuola media unica ha ormai 60 anni e forse ha bisogno di bel “tagliando”…

Facciamo un po’ di storia.
L’articolo 1 della legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 istitutiva della media unica affidava a questo ordine di scuola il compito di concorrere “a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi della Costituzione” e a favorire “l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva”.
Nel 2012, le Indicazioni nazionali per il curricolo del Primo Ciclo, a proposito di finalità da affidare alla scuola, puntano direttamente allo scopo: “La finalità è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base”.
“Conoscenze”, “abilità”, “competenze”, un trinomio e una consequenzialità inedita.

Intanto, fra il 1962 e il 2012 sono cambiate anche alcune norme importanti…

Le Indicazioni del 2012 rappresentano una novità importante anche rispetto ai programmi scritti nel 1979, senza dimenticare altri provvedimenti che hanno modificato in modo significativo l’intero impianto della scuola di base; penso ad esempio alla legge n. 517 del 1977, che aboliva i voti e dava avvio all’integrazione scolastica nella scuola di tutti, ai Decreti delegati del 1974, che hanno aperto la strada alla partecipazione democratica nella scuola.

Come è cambiata la “cornice pedagogica” in questi decenni?

Conoscenza, abilità e competenza di cui si parla nelle Indicazioni disegnano un itinerario di apprendimento molto preciso, ben definito nei suoi contorni: la conoscenza deve trasformarsi in abilità e una volta divenuti abili allora è possibile mettere alla prova la propria competenza.
Si tratta di una visione dell’apprendimento assai avanzata rispetto alla genericità dell’articolo 1 della legge istitutiva della scuola media unica ed alla fumosità dei programmi del 1979 nei quali si leggeva che “la scuola media risponde al principio democratico di elevare il livello di educazione e di istruzione personale di ciascun cittadino e generale di tutto il popolo italiano”.

Senza considerare che in 60 anni sono cambiate molte altre cose…

Proprio così. Il paesaggio scolastico italiano si è arricchito di quanto in quell’inverno del ’62 forse era inimmaginabile: gli asili nido, le scuole dell’infanzia, una nuova scuola primaria, le scuole a tempo pieno, gli istituti comprensivi, una scuola inclusiva.
Contemporaneamente, però, le condizioni strutturali ed organizzative di oggi sono sempre quelle del 1962: classi, cattedre, orari, discipline anche se le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione avrebbero dovuto permettere di  far compiere al nostro sistema di istruzione un salto di qualità: dalla scuola media unica all’unitarietà della scuola del primo ciclo.

Ed è cambiato anche il lavoro dei docenti

Sì, nuovi compiti hanno qualificato il profilo degli insegnanti: la programmazione curricolare, la verticalizzazione dei curricoli, l’individualizzazione dell’insegnamento, le verifiche e la valutazione, l’interdisciplinarità, la ricerca d’ambiente, le osservazioni sistematiche, il master learning.
Compiti nuovi di una professionalità docente ripensata, non sempre vissuta con la disponibilità giusta da tutti gli insegnanti. Compiti spesso subiti come pratiche burocratiche da evadere per mancanza di preparazione sia dei singoli che della struttura, più spesso per il mancato sostegno da parte di chi è stato chiamato a dirigere il dicastero dell’istruzione e per la inadeguatezza della politica.

Come sono stati vissuti questi cambiamenti all’interno del sistema scolastico?

Dagli anni ’60 in avanti sono accadute tantissime cose, che prima non c’erano, che hanno contribuito a mutare la cultura italiana sulla scuola, anche se questa cultura in gran parte nuova non è stata recepita da tutti.
Alcuni, sia all’interno che all’esterno dell’istituzione, l’hanno subita, altri non l’hanno compresa e hanno continuato a pensare e ad agire come se non fossero intervenute importanti novità sul versante dell’istruzione del paese.
C’è chi, invece, ha continuato a lavorare ostinatamente, non sempre con successo, perché non venisse meno la spinta al rinnovamento della nostra scuola, indispensabile per evitare di fallire il compito assegnatole dalla Costituzione, quello che sta scritto soprattutto nell’articolo 3 dei suoi principi fondamentali.

E adesso cosa potrebbe accadere?

Il rischio reale oggi è che la strada percorsa fin qui finisca in un vicolo cieco. Perché la scuola disegnata dalle Indicazioni nazionali del 2012 è molto più impegnativa di quella prospettata dalla scuola media unica, che pure resta la pietra miliare di una grande conquista democratica. Rappresenta i passi avanti che, anche per effetto di quella riforma, ha compiuto il pensiero della scuola in questo paese.
Un pensiero che impegna la scuola a far acquisire “le competenze indispensabili per continuare ad apprendere lungo l’intero arco della vita” con “particolare attenzione ai processi di apprendimento di tutti gli alunni e di ciascuno di essi”. Tutti e ciascuno, proprio ogni singolo, preso uno per uno.

Lei, da pedagogista, ha una proposta sulla direzione nella quale bisognerebbe lavorare?

A mio parere il nodo vero è questo: competenze indispensabili all’istruzione permanente e forte individualizzazione dei processi di insegnamento/apprendimento.
Più che individualizzazione sarei tentato di usare l’espressione “singolarizzazione”. Tutto nella prospettiva di accrescere in ciascuno l’individuale autonomia di studio.
O questi nodi si affrontano con una cultura nuova o, nonostante la prescrittività delle Indicazioni nazionali, la nostra scuola secondaria di primo grado continuerà a funzionare né più né meno come la sua progenitrice scuola media unica.

Lasciando le cose come stanno cosa potrebbe succedere?

Inevitabilmente l’Istat continuerà a fornirci dati sempre più imbarazzanti come quelli che fanno registrare il 40% degli studenti di terza media non sufficienti in italiano e in matematica. Una scuola soprattutto ininfluente nel colmare non solo gli svantaggi sociali e culturali, ma anche quelli accumulati nel corso degli anni scolastici.
Ciò significa che la sfida democratica lanciata sessant’anni fa dalla scuola media unica non è stata ancora vinta.

In questo video la storia della nascita della scuola media unica (e non solo)