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Scuola primaria, stop ai voti: tornano i giudizi

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Nel recente Decreto sulla scuola che disciplina: gli Esami di Stato conclusivi del I e del II ciclo d’istruzione, la valutazione finale degli alunni, la conclusione dell’anno scolastico 2019/2020 e l’avvio del 2020/2021 è contenuta una disposizione che va oltre l’emergenza Covid-19 e passa alla storia.

Dal prossimo anno scolastico 2020-2021 “Tornano i giudizi descrittivi, alla scuola primaria, al posto dei voti in decimi. Una successiva Ordinanza del Ministero dell’Istruzione darà alle scuole tutte le indicazioni operative”.

E’ questo un “provvedimento” che entra nell’empireo normativo del Ministero dell’Istruzione, ove ciascuno dei tanti Ministri che si sono succeduti ha apportato innovazioni e modifiche, togliendo, modificando, aggiungendo elementi significativi e aspetti peculiari nei programmi, nei criteri negli indirizzi della scuola italiana.

Anche Lucia Azzolina passerà alla storia per aver proposto per la Scuola Primaria la reintroduzione dei giudizi al posto dei voti che il Ministro Maria Stella Gelmini nel 2009 aveva semplificato adottando anche per il primo ciclo la valutazione in decimi, come per gli altri ordini di scuola.

 

La cultura della valutazione

Il docente educatore come Michelangelo “tira fuori da ogni bambini la parte migliore” e la valutazione, parte integrante del progetto formativo, non ha lo scopo di selezionare i “migliori”, ma, più concretamente, di fare in modo che emerga in tutti i bambini e ragazzi “la loro parte migliore”.

Il significato etimologico del termine valutazione richiama il senso del saper “dare valore”, e, come afferma Franco Lorenzoni“ nel libro “, I bambini pensano grande. Cronaca di un’avventura pedagogica” (Sellerio, 2014), sollecita l’impegno di valorizzare tutti i bambini, accogliendo le loro diversità nell’apprendimento.

La cultura della valutazione scolastica ha subìto negli anni diverse modificazioni e adattamenti, apportando criteri innovativi nella ”Scheda  Personale” che un tempo si chiamava “Pagella”, temine ancora in uso nel linguaggio ordinario.

Si legge nel Regio decreto degli anni Venti che in sede di riunione per lo scrutinio finale presieduta dal preside: “Ciascun docente esprimeva per ogni alunno un giudizio sul rendimento scolastico e disciplinare, giudizio che il Preside traduceva in voto”.

Assegnare il voto era, appunto, competenza del Preside. Con i Decreti Delegati e gli Organi collegiali anche la valutazione ha assunto una dimensione “collegiale” assegnando i voti che vanno dal 10 “eccellente” al 6 “voto di sufficienza”, a volte intercalati dai segni + o – o anche dal ½ voto che favoriva il calcolo della “media dei voti”.

Dal 1977 si è accentuata una differenza di sistemi di valutazione tra i diversi ordini di scuola. Mentre le scuole Superiori mantenevano il voto in decimi (tranne che per la valutazione della Religione Cattolica, per la quale si adottavano i giudizi: insufficiente, sufficiente, molto, moltissimo), negli altri due gradi di scuola sono stati introdotti i giudizi di: Eccellente, Ottimo, Distinto, Buono, Discreto, Sufficiente, Non sufficiente ”.

In seguito, nel 1993, il criterio di gradualità nella fascia valutativa è stato espresso sinteticamente con le lettere A, B, C, D, E corrispondenti a una scala valutativa che nella mente del docente, dello studente e dei genitori veniva riportata ai voti tradizionali dal 6 al 10.

Dagli anni 1987-1988, la scuola del Primo ciclo ha adottato non più la “Pagella”, bensì la “Scheda Personale di valutazione”, con giudizi personalizzati e veniva compilata in triplice copia e di colore diverso: verde per la scuola, marrone per la famiglia.  Le schede si compilavano a mano e la copia con la carta carbone spesso era illeggibile.

Dall’anno scolastico 2008-2009 la legge 169, che porta la firma del Ministro Maria Stella Gelmini, rimette in vigore il voto in decimi nella scuola Primaria e nella scuola Secondaria di primo grado.

L’innovazione fu salutata come un alleggerimento delle procedure negli scrutini intermedi e finali ed anche i genitori accolsero l’evento come segno di maggior chiarezza per comunicare il rendimento scolastico.

Ancora una volta prevale l’idea della scuola che “insegna-istruisce” e trasmette cultura, mentre resta  nell’ombra l’idea di scuola che “educa e forma” l’uomo e il cittadino.

Franco Lorenzoni e diversi altri pedagogisti hanno sostenuto, invece, che: “La reintroduzione del voto è stata una sciagura perché ha riportato in auge una pratica del tutto sbagliata e controproducente Quando si studia per il voto, la scuola non funziona, se si studia invece per il piacere e la curiosità di imparare si apprende molto di più”.

 

Verso le competenze

Nel corso dell’ultimo decennio spesso è stato discusso in merito alla questione dei voti nella scuola Primaria che pone le basi del saper organizzare il proprio lavoro, del saper gestire le proprie cose, di ciò che sarà il bambino un domani, acquisendo autonomia di comportamento nel rispetto delle regole della convivenza civile.

In essa comincia il percorso di orientamento verso gli ambiti disciplinari che diventano poi “discipline” e “attraverso l’acquisizione sistematica e critica della cultura si promuove la formazione integrale della persona” che cresce mettendo a frutto le personali potenzialità che, esercitate mediante l’azione scolastica, diventano prima “capacità”, poi “abilità” e quindi “competenze”.

Per definizione la competenza è segno di un graduale consolidamento della modifica del modo di sentire e di agire, e tale gradualità non può essere “misurata” e “quantificata” con un voto numerico, ma va descritta esplicitando il graduale sviluppo, di crescita e di maturazione.

La descrizione del grado o del livello di competenza va redatta mediante la formulazione di un giudizio che fotografa lo stato reale del processo di formazione dell’alunno e che, come un referto ecografico, segnala ed analizza i particolari aspetti di crescita e le eventuali direzioni d’intervento per un miglioramento efficace.

Com’è stato scritto: “Assegnare voti nella scuola Primaria significa voler misurare il cielo con il centimetro”.

Il voto, espressione della “misura” di quantità, e “accertamento di un prodotto”, è stato considerato “un imbarazzante neo” della scuola delle competenze che, invece, privilegia il “processo”, anziché il “prodotto”.

Nella prassi quotidiana la valutazione qualitativa, descrittiva non misura le prestazioni con il centimetro dei voti, ma spiega e valorizza l’evoluzione dell’apprendimento e l’impegno esercitato, tenendo conto dei differenti ritmi di crescita e i diversi livelli di partenza.

Ben vengano, quindi i giudizi, e si auspica che s’interrompa quel legame occulto tra il giudizio e la corrispondenza al voto, che ancora permane nella mentalità dei genitori e nella prassi valutativa di alcuni docenti.

La valutazione scolastica ha la caratteristica, l’attributo e la qualità di essere: “formativa”, indirizzata cioè non a “misurare“ ciò che il bambino sa, bensì a descrivere il processo che lo aiuta a “saper fare”, evidenziando anche eventuali difficoltà e ostacoli. Tutti questi elementi non possono essere contenuti nel voto numerico.

La valutazione formativa ha le caratteristiche di “orientamento, guida, accompagnamento”, diventa espressione del “prendersi cura “dell’alunno, del “saper rispondere ai bisogni di ciascuno”.

La migliore valutazione, alla scuola primaria, è quella che “sostiene la crescita dei bambini, potenziandone i punti di forza e accogliendone i punti deboli, attraverso un percorso che consenta a ciascuno di progredire, indicando cosa fare meglio e non limitandosi ad evidenziare gli errori”.

 

Formazione e dialogo con i genitori

A tale scopo non è sufficiente un decreto o una legge, occorre una puntuale azione formativa del Personale docente e un necessario accompagnamento nei confronti dei genitori, aprendo un reale e costruttivo “dialogo educativo” convergente nella ricerca del “miglior bene” del bambino.

Nell’incontro “scuola famiglia”, dovrebbe scomparire la domanda dei genitori: “A cosa corrisponde questo giudizio?”, perché il giudizio non deve “corrispondere ad un voto”, ma, se ben esplicitato, dovrebbe far apparire chiara e nitida l’immagine del graduale processo di crescita culturale, sociale, relazionale che insieme edificano il progetto di “uomo e cittadino” che l’azione didattica sviluppa attraverso le attività d’insegnamento curriculare.

Sarà compito dei docenti saper formulare il giudizio usando parole semplici e chiare che analizzano e descrivono il percorso didattico realizzato nel quadrimestre, i contenuti appresi, le abilità esercitate, i traguardi raggiunti e il livello di competenza acquisito nei diversi ambiti disciplinari e che “fotografano” il singolo bambino, tracciando per ciascuno quasi un graduale “piano di miglioramento” dei punti deboli.

Non sarà facile, ma occorre iniziare un nuovo cammino di “pedagogia delle competenze” che insegna a formulare giudizi per i diversi ambiti disciplinari.

Nella scheda è previsto, come già adesso, lo spazio riservato al “giudizio globale” per descrivere il comportamento, l’educazione, il rispetto per gli altri: compagni e adulti – ed il rispetto per le cose, ma poiché tale comportamento, segno dell’educazione impartita dalla famiglia, a volte non corrisponde adeguatamente al rendimento scolastico, nel giudizio globale occorrerà evitare l’uso di formule generiche, o di espressioni adottate per le “fasce di livello”, bensì occorrerà focalizzare, analizzare e descrivere, caso per caso, i reali traguardi e i “bisogni di ciascuno”.

 

 

I nostalgici del voto

Credo che ci saranno ancora tanti “nostalgici del voto”, i quali sosterranno che i bambini sanno che il voto significa premio o punizione, ma “il bambino non è un voto”: una persona non si misura con un numero, lo sviluppo della crescita culturale e formativa si descrive con parole semplici, vere e comprensibili.

I bravi insegnanti sanno che c’è grande differenza tra un 6 dato a un compito eseguito con distrazione e malavoglia da chi potrebbe fare meglio e il 6 assegnato ad un lavoro frutto di grande sforzo.

I bambini della scuola Primaria non riescono ad interpretare il voto poiché il loro concetto di ragionamento si trova ancora ad un livello che Piaget definisce “periodo delle operazioni concrete”.

Il voto è un numero, qualcosa di astratto, il cui valore, solo andando avanti con l’età, sarà comprensibile.

Quella numerica è una valutazione da contachilometri, che misura le velocità di apprendimento dei bambini e finisce con etichettarli precocemente in “bravi e meno bravi”, innescando il perverso e insensato meccanismo delle classifiche”.

Nel contare e confrontarsi quanti 8 o 9 figurano in pagella, i bambini non riescono a capire che l’insegnante tiene conto, mettendo quel determinato voto, anche dell’impegno messo nel fare un compito, nell’attenzione, nella partecipazione, nella preparazione, nel rispetto della consegna e della comprensione.

La Scheda “Personale” che descrive la valutazione del singolo studente non dovrebbe essere comparata con quella dei compagni, poiché il processo di apprendimento “si sviluppa in relazione ai punti di partenza e ai ritmi di apprendimento di ciascuno” che sono diversi e vanno rispettati.

Spesso si nota che i voti creano ansia, invidia, bassa autostima o percezione di superiorità, a volte generano rifiuto, antipatia, odio della singola disciplina.

La reintroduzione dei giudizi al posto dei voti consente ancora nella Scuola Primaria di continuare per valutare il lavoro svolto in classe e i compiti a casa di usare le espressioni: “Bene, Bravo, Bravissimo”, note di merito e d’incoraggiamento, oppure faccine, stelline, cuoricini o altri simboli, come avviene in Finlandia, Paese ai vertici delle classifiche europee per meriti del sistema scolastico.

Questa tecnica di valutazione ricorda il giudizio che scriveva il maestro Alberto Manzi sulle pagelle dei suoi non giovani allievi: “Fa quel che può, quel che non può non fa”, dimostrando da attento professionista dell’educazione che è compito del docente: “Saper guardare tutti ed osservare ciascuno”.