
La scuola, i conservatori, le accademie, l’Università, l’Afam e la ricerca pubblica continuano a mantenere un “serbatoio” di precari impressionante: di gran lunga il più grande della pubblica amministrazione, perché si tratta di 300 mila lavoratori non ruolo, di cui in buona parte anche storici (con almeno tre anni di supplenze alle spalle). A ricordarlo, il 4 giugno, è stata la Flc-Cgil, che ha organizzato a Roma, a Largo di Torre Argentina, una assemblea pubblica dal titolo “Zeroprecarietà, basta precari nella conoscenza”.
Tra la mattina e il pomeriggio, il sindacato ha presentato una serie di proposte per chiedere “risposte concrete e risolutive al problema del precariato”: a questo scopo, si è rivolto ai parlamentari e governo chiedendo di cambiare passo.
“Solo nella scuola abbiamo oltre 250 mila precari – ha detto Gianna Fracassi, segretaria generale Flc Cgil – , per questo abbiamo inviato diverse lettere al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, tuttavia i numeri ufficiali dal ministro non sono mai arrivati. Crediamo che quella attuale sia una situazione indegna”.
Secondo la sindacalista “il decreto Pnrr approvato ieri”, la legge di conversione del DL 45/2025 approvato alla Camera con voto di fiducia, “non risolve né il problema idonei né quello delle stabilizzazioni. E sul personale Ata permane il blocco del turn over: di conseguenza si gonfia la bolla del precariato”.
La protesta è servita a parlare anche del precariato degli altri settori della Conoscenza: “ammontano a circa 50mila i precari nelle università, nelle accademie e nei conservatori. Il tema – ha continuato Fracassi – è riprendere la battaglia per la stabilizzazione del personale precario a cui non si continua a dare risposta. Oggi i precari in piazza hanno raccontato al loro condizione. Continueremo a fare assemblee pubbliche: la prossima sotto i ministeri”, ha concluso la numero uno dei lavoratori della Conoscenza della Cgil.
All’appuntamento di piazza – durante il quale ha suonato la band della Flc Cgil “Musica Ribelle” – si sono presentati parlamentari del Pd, M5S, Avs, il segretario confederale della Cgil nazionale Christian Ferrari, anche l’attrice e scrittrice Tezeta Abraham, che ha fatto una riflessione sul tema della cittadinanza in vista del referendum dell’8 e 9 giugno.
Sull’abuso di precariato, intanto, non sembrano esservi novità sostanziali. Periodicamente, torna in auge il mancato rispetto della Direttiva UE n. 70 del 1999, con cui si chiede agli Stati membri di assorbire il personale non di ruolo con proprie regole e tenendo conto che l’immissione in ruolo dovrebbe scattare dopo il 36esimo mese di supplenza (anche non continuativa). Tuttavia, quella della stabilizzazione dei supplenti non può essere considerata una “norma” da rispettare.
Almeno, questa è la risposta che ha ottenuto qualche mese fa un docente precario, che ha indirizzato una missiva alla Presidenza dell’Unione europea sulla questione delle assunzioni dei docenti. Bruxelles ha risposta come già in passato dicendo che l’Europa non impone ai Paesi membri questa o quella modalità di reclutamento.
“Lei – hanno risposti i dirigenti Ue – contesta il fatto che l’attuale sistema non preveda la stabilizzazione dei docenti a tempo determinato sulla base della loro partecipazione ai concorsi precedenti o sulla base del graduale avanzamento mediante le graduatorie di merito e sostiene che il sistema dovrebbe consentire una maggiore flessibilità per stabilizzare gli insegnanti a tempo determinato e riconoscere le loro qualifiche”.
“Il diritto dell’Unione europea (in particolare l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE) – hanno aggiunto – impone agli Stati membri di introdurre misure efficaci per prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato”.
Tuttavia, è stato ribadito sempre dai funzionari di Bruxelles, “la Commissione europea non ha alcuna competenza per imporre all’Italia di assumere a tempo indeterminato insegnanti a tempo determinato, né per applicare una determinata procedura o determinati criteri per l’assunzione degli insegnanti. Sebbene l’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato imponga agli Stati membri di stabilire almeno una misura efficace per prevenire gli abusi, esso non specifica un tipo particolare di misura, ma lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità per quanto riguarda le modalità per conformarsi a tale obbligo”.
“Di conseguenza – conclude la lettera di risposta al docente italiano – la Corte di giustizia dell’Unione europea ha statuito che l’Accordo Quadro non prevede l’obbligo per gli Stati membri di disporre la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato”.
“Spetta agli Stati membri – concludono da Bruxelles – determinare a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato debbano essere considerati contratti o rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Inoltre, nel settore dell’istruzione, l’Unione europea può solo sostenere, coordinare o completare le azioni degli Stati membri, senza sostituire le loro competenze in questo settore. L’Unione europea deve rispettare pienamente la responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda l’organizzazione dei sistemi di istruzione”.