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Se l’atto sessuale del prof con l’alunna con deficit cognitivo è “repentino” non c’è violenza

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Per i giudici della Suprema Corte di Cassazione non si può parlare di violenza quando la ragazza «esprime gradimento» e soprattutto quando i fatti dimostrano che non c’è una condizione di inferiorità fisica o psichica dell’allieva nei confronti dell’insegnante.

Secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, una ragazza di 17 anni, affetta da «disturbo specifico misto di apprendimento», era stata oggetto di atti sessuali da parte dell’insegnante, prima nei locali della scuola, poi fuori dall’istituto.

Rispetto ai contestati atti sessuali «repentini» compiuti dal professore nei confronti della studentessa, per i giudici togati non si configura alcun reato. Per la Cassazione la vittima, avrebbe dovuto esprimere un dissenso. «Dissenso che deve essere ovviamente sussistente – si legge nella sentenza -. L’eventuale consenso, manifestato in un momento immediatamente successivo all’atto sessuale repentino non consente di configurare alcuna condotta costrittiva».

La ragazza, infatti, subito dopo aver subito le avance del suo professore aveva dichiarato di aver provato «sensazioni positive al contatto fisico con l’insegnante».

«Peraltro – sottolinea ancora la Cassazione – anche per escludere la rilevanza penale delle condotte sessuali repentine non è sufficiente il consenso o comunque la mancanza di dissenso, dovendo verificarsi se tale stato psicologico da parte di chi subisce gli atti sessuali sia eventualmente viziato». Nel caso in questione, nonostante la contestata condizione di inferiorità psicologica della ragazza nei confronti del professore, visto anche il deficit cognitivo della giovane, la Cassazione ha affermato che i giudici di merito «giustamente» hanno escluso l’incapacità della ragazza di «determinarsi rispetto ad una scelta».

«Con motivazione niente affatto illogica – spiega la Cassazione – la Corte di appello ha infatti puntualmente richiamato, in proposito, la decisione della giovane di non accompagnare l’insegnante nel bagno proprio in quanto aveva già capito che voleva fare sesso con lei; sicchè ogni ipotesi di vizio del consenso è stata coerentemente esclusa, così come la menzionata condizione di inferiorità, fisica o psichica, della quale l’agente abbia abusato».

“Quanto poi al contestato abuso di autorità dell’insegnante nei confronti del minore-precisa Il Sole 24 Ore-, per i giudici togati «non è dato configurare alcun abuso dei poteri connessi alla posizione di docente. Infatti gli atti sessuali non ebbero luogo attraverso una qualche forma di esercizio dei poteri derivanti dall’ufficio svolto – si legge nella sentenza – non emergendo affatto, quantomeno alla stregua di quanto riportato dalla sentenza impugnata, che il docente avesse ad esempio costretto la ragazza a trattenersi nei locali contro la sua volontà, che avesse allontanato altri studenti per poter stare solo con lei: in breve che si fosse avvalso di qualunque delle facoltà derivanti dal suo status per commettere le contestate attività sessuali».