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Terremoto in Giappone, decine di migliaia di bambini non sanno quando torneranno a scuola

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Il terremoto in Giappone potrebbe tenere decine di migliaia di bambini per diverso tempo lontani dalla scuola: molti edifici scolastici nipponici sono, infatti, rimasti profondamente lesi dalle scosse che nelle ultime settimane si sono susseguite. E diverse scuole rimaste in piedi sono state, invece, adibite all`accoglienza di quasi 160.000 persone evacuate in seguito al terremoto.
Secondo ‘Save the Children’ c’è da preoccuparsi: “l`educazione costituisce una priorità per i bambini e le loro famiglie” e per questo l`Organizzazione internazionale metterà in campo tutti gli sforzi necessari per garantire ai più piccoli il ritorno in aula.
‘Save the Children’ è convinta che occorre restituire un senso di normalità: ridare “l`ordinaria routine ai minori colpiti dal disastro significa fornire un rimedio efficace per superare i traumi subiti. Assicurare il ritorno alla vita scolastica inoltre è una leva fondamentale anche per i genitori e le famiglie dei bambini, così che possano ricostruire le loro vite sapendo che i figli sono in un ambiente protetto che stimola la loro crescita e il superamento del trauma”.
In questi giorni i rappresentanti del Governo giapponese hanno spiegato che stanno facendo di tutto per rendere le scuole dei luoghi sicuri e ricollocare le famiglie, ma hanno anche ammesso che l`attesa dei bambini potrebbe prolungarsi di molto, perché i danni provocati dal terremoto, lo tsunami e il danneggiamento del reattore nucleare hanno comportato conseguenze molto gravi.
“Solitamente l`inizio d`Aprile per i bambini giapponesi è un periodo entusiasmante – ha detto Stephen McDonald, responsabile Emergenze di Save the Children in Giappone – poiché sanno che il nuovo trimestre è alle porte. Ma oltre 7.000 scuole sono state danneggiate dallo tsunami e circa 286 edifici sono stati convertiti in centri d`evacuazione piuttosto che in luoghi d`apprendimento. Riportare i bambini a scuola è un passo decisivo e indispensabile. Quelli che ho incontrato personalmente non fanno altro che chiedere quando potranno tornare tra i banchi, a giocare insieme ai loro compagni, perché è quella la loro vita, la loro quotidianità”.