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Torniamo a scuola

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E’ stato un week end caldissimo, un bel weekend di sole e di mare. Insegnanti e studenti si sono ritrovati agli incontri della tappa palermitana de La Repubblica delle Idee, con il consueto mix di spettacolo, congresso e meeting.

Il tema Torniamo a scuola rimane fortemente attrattivo, impegnativo per i 27 gradi, ma sentito quanto basta dal pubblico del quotidiano per mettere in moto una ben collaudata macchina organizzativa. Lezioni-spettacolo, presentazioni ed eventi con ospiti che hanno voluto dare un contributo al dibattito sulla scuola come Daniel Pennac, Ilvo Diamanti, Stefania Giannini, Concita De Gregorio, Massimo Ammaniti.

Presenti anche Elena Stancanelli e Giorgio Vasta con una conferenza appassionata sul valore della lettura a scuola: due scrittori prestati in regime di volontariato alle scuole d’Italia, per promuovere con l’associazione Piccoli Maestri il contatto sempre più difficile con il libri e con la pluralità dei mondi. Portare i libri a scuola è un’operazione complicata per una pratica didattica che tende sulle indicazioni ministeriali a trattare le pagine di un romanzo come i pezzi di una cucina di Ikea, ma è un risultato possibile. Appassionare ‘’anche attraverso scrittori viventi – spiega Vasta – per muovere il gusto dei ragazzi, per la lettura e le storie”.

Nessuna pretesa di fare scuola nei laboratori di Piccoli Maestri, ed Elena Stancanelli che è promotrice e Presidente dell’associazione, nel poco tempo che ha a disposizione, ci racconta una scuola fatta da adolescenti pieni di curiosità, laboratori attivi, libri dimenticati che tornano nel dialogo vivo e nella relazione costruttiva con gli adulti. Più difficile la pratica quotidiana, talvolta grigia e fredda degli insegnanti. Enrico Bellavia, che ha condotto il talk con i due scrittori, lo sa perché conosce bene la scuola e lo sottolinea più volte. Una scuola fatta di ordinarietà e normalità, di difficoltà quotidiane che non può incontrare scrittori tutti i giorni.

Una scuola, aggiungiamo, senza carisma e senza leadership, fatta da vecchi insegnanti che attendono di essere riqualificati in un settore senza risorse per l’aggiornamento da almeno 20 anni, poco gratificante e povera di spazi organizzati, che non garantisce i disabili come dovrebbe, che non è sicura.
Non a caso gli insegnanti e gli studenti presenti hanno ripreso a respirare partecipando all’incontro con i due scrittori, dopo la faticosa conferenza del primo pomeriggio, in cui Ilvo Diamanti ha snocciolato un po’ di dati sulla fiducia degli italiani nella scuola. Ne è nata una piccola discussione con la ministra Giannini che ha difeso La Buona Scuola, il documento programmatico di 136 pagine del piano che il governo offre ai cittadini per riformare la scuola.

Sono 500.000 mila gli italiani, secondo i dati di monitoraggio web forniti dal ministero, che lo hanno letto on line, soffermandosi per almeno 5 minuti. Prova sul palco a spostare l’attenzione ed a parlare di scuola Maria Pia Veladiano, scrittrice e Dirigente Scolastico, raccogliendo gli applausi più consistenti perché tocca con lucidità i nodi della formazione e del reclutamento dei docenti.

Che dire? Il riferimento ai 5 minuti polarizza l’attenzione, in maniera grottesca. Non è un vanto per un ministero che ha invitato tutti gli insegnanti, attraverso l’apparato sindacale e gli uffici, a leggere e a compilare il questionario sul documento: i 5 minuti servono soltanto a tradurre il lessico anglosassone prestato dal marketing del terzo settore che inquina quasi definitivamente il documento; 5 minuti sono buoni per montare negli insegnanti che hanno letto il documento un sentimento forte di stizza e antipatia verso il modo di proporre un cambiamento privando la scuola del suo linguaggio, confiscandola nella parvenza più spicciola, come se gli estensori del piano dovessero vendere ai cittadini con un bel mutuo regionale una villetta a schiera.

Un documento, quello della Buona Scuola, che non aderisce alle sue difficoltà intrinseche, alle sofferenze storiche, che non muove desideri e non fa sperare e sognare.
Tutta interessante l’iniziativa di Repubblica delle Idee, 10 ore circa di dibattito complessivo su come nasce un giornale e come si portano i libri a scuola, su come bisogna parlare con un adolescente o con la famiglia adolescente – se per fortuna o sfortuna si svolge il lavoro di prof-, sul valore della lingua e della democrazia, tema su cui ha fondato i suoi ragionamenti virtuosi Daniel Pennac.

Lo scrittore francese insieme ad Ezio Mauro, come è accaduto ieri con Massimo Ammaniti e Concita de Gregorio, parla degli adolescenti ad un pubblico che sembra solo affollare il teatro più bello d’Italia, privato dei figli, dei protagonisti della scuola che da Sabato mattina stanno altrove, a occupare altri spazi e sperimentare altre pratiche che la scuola non è in grado di giudicare. Ezio Mauro legittimamente esprime in chiusura dell’evento l’intenzione che li ha animati: una festa, non un convegno, un’occasione di incontro tra le parti.

Don Milani e Pennac, il richiamo costante agli asini ed alla scuola che discrimina, agli ultimi che il sistema di istruzione espelle, ai quali non viene insegnata la lingua, che non possono formulare ai loro insegnanti, e non potranno farlo dopo – agli altri adulti che incontreranno ed alle istituzioni -, una domanda di aiuto.

Un richiamo non astratto perché la nostra regione gode di una dispersione scolastica che si avvicina al 20%. Settant’anni di pedagogia e di democrazia, perché nelle domande di Ezio Mauro un filo unisce Gramsci, Milani e Pennac.

Tutto molto bello e davvero molto commovente.
E’ invece la scuola italiana che annoia, la sua struttura burocratica, la guerra arsa tra precari disoccupati attivi e disoccupati futuri che ha preso avvio nel piccolo spazio dibattito di Sabato pomeriggio con il ministro, nel codazzo degli interventi degli insegnanti, quasi tutti di difesa del lavoro e dell’occupazione. Non potrebbe accadere altrimenti, se si parla di scuola si parla dei precari; in questo modo però si discute poco dei ragazzi e dei bambini, dei programmi, delle pratiche didattiche, della qualità, dell’edilizia scolastica e di tante altre cose.

Annoia poi questa maleodorante minaccia-promessa contenuta nel documento sulla buona scuola, che questo governo con la riforma alla fine riuscirà a valutare il sistema, con tutti coloro che ci lavorano dentro; non è il sistema che ci ha insegnato Lewin, che deve essere studiato e capito nei bisogni, nei punti deboli e di forza, ma è il sistema della spending review. La stessa logica che razionalizza la spesa sanitaria valutando oggi non indispensabili esami che prima era giudicati essenziali, penalizzando e sanzionando i medici che li prescrivono ai loro assistiti. I professori meno pagati d’Europa, che guadagnano oggi 1.400 euro al mese dovranno essere valutati. Questa è la sensazione più viva che rimane alla fine del week end.