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Trent’anni dalla morte di Paolo Borsellino nella strage di via D’Amelio. Bianchi: la cultura antimafia non è retorica

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“La cultura antimafia non è retorica, si deve fare qualcosa, molto più di qualcosa. Noi lo facciamo perché da anni lavoriamo tutti i giorni in tal senso, dovremmo farlo in tutto il Paese. Questo è un momento particolare, ma deve essere un momento che deve espandersi sulla vita quotidiana dei nostri ragazzi”. Lo ha detto in via D’Amelio, a Palermo, il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi, rispondendo ai giornalisti sulla mancata verità, dopo 30 anni, sulla strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta.

“C’è sempre tanta strada da fare – ha aggiunto il ministro – però siamo sulla strada giusta. Dobbiamo esserci. Per i nostri ragazzi che devono trovare un loro percorso di pace e giustizia, il ruolo della scuola è quello di accompagnarli”.

L’evento organizzato dalla Tecnica della Scuola

Falcone e Borsellino hanno lasciato una quantità straordinaria di norme giuridiche e di strumenti di antimafia. Pensiamo alla DIA, la direzione nazionale antimafia,” spiega Salvatore Cusimano, il giornalista di cronaca giudiziaria che raccontò per la Rai il maxi processo e che è stato ospite della Tecnica della Scuola in occasione dell’evento dedicato al trentennale delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.

“O pensiamo a tutte le norme che aiutano i magistrati a contrastare il fenomeno mafioso. Probabilmente senza quegli attentati quelle norme non sarebbero diventate un patrimonio della nostra terra”.

“Ma soprattutto – continua il giornalista d’inchiesta – Borsellino era estremamente disponibile verso le nuove generazioni, andava nelle scuole come aveva fatto Dalla Chiesa, che tra le sue primissime iniziative a Palermo scelse di parlare con i ragazzi nelle scuole; come fece anche Rocco Chinnici, che andava tra i banchi di scuola a ricordare che la mafia vive di eroina mentre di eroina morivano in moltissimi giovani in quegli anni, una parte ricchissima di una generazione che avrebbe dovuto costruire il futuro del Paese”.

Dov’è più necessaria l’opera educativa? “Nei quartieri popolari – precisa ancora Cusimano – lì l’opera di antimafia è essenziale ed è fatta di esempi, per spingere i ragazzi a entrare anche in dialettica con i propri genitori se questi genitori si comportano diversamente rispetto al modello dei loro educatori”.