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Un anno scolastico che ricorderemo a lungo

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Siamo arrivati agli ultimi giorni di scuola di un anno scolastico che ricorderemo a lungo.

Un anno travagliato, che ha visto studenti, docenti, genitori e personale da un giorno all’altro (da fine febbraio) tutti costretti a riconvertire abitudini, convinzioni, sensibilità, comportamenti, relazioni.

E’ stata una esperienza unica, che ha costretto ad un veloce riadattamento su un modo di fare scuola che sembrava intoccabile.

Sì, qualcuno ha sbraitato, ha protestato, ha negato che le nuove pratiche della didattica a distanza non erano la stessa cosa della didattica in presenza.

Cosa ovvia, abbiamo tutti risposto.

Ma, nel frattempo, si doveva fare qualcosa per garantire, comunque, il massimo di formazione possibile a questi nostri bambini e ragazzi.

Anche se il direttore Sallusti, oppure lo storico Galli della Loggia non se ne sono accorti, in realtà la scuola ha dimostrato, per la gran parte, di avere adottato, con buon senso, modalità e strumenti che hanno coperto una situazione che, altrimenti, avrebbe consegnato i nostri bambini e ragazzi alla totale inattività, a situazioni che non voglio nemmeno immaginare.

Così siamo arrivati alla fine di questo anno scolastico.

La complessità del sistema italiano ancora, purtroppo, centralista, non legato cioè alla piena responsabilità delle scuole “autonome”, ha impedito una gestione equilibrata di questa fine d’anno, comprese le valutazioni.

L’incertezza ministeriale l’abbiamo da subito avvertita.

Per timore di infiniti ricorsi si è preferito il “tutti promossi”, di fatto rinunciando ad una precisa responsabilità, quella di saper gestire le complessità in ordine alle specificità di ogni situazione.

Ha prevalso, cioè, l’idea che l’irresponsabilità fosse il minimo comun denominatore, invece di quel “principio responsabilità” che è il cuore della nostra Costituzione, che abbiamo tutti ricordato lo scorso 2 giugno, festa della nostra Repubblica.

Ma tant’è, siamo abituati da anni a questi paradossi.

Intanto, dobbiamo dire un grazie ai nostri studenti, i quali quasi tutti hanno capito questo senso della responsabilità.

Poi, non può mancare un grazie ai nostri docenti, presidi, al personale, per un servizio che è stato garantito sapendo le condizioni.

Ed ora, che succederà a settembre?

Si discute tanto sul fatto che, purtroppo, solo l’Italia non riapre le scuole, mentre in altri Paesi sono state aperte prima addirittura dei pub.

Ma chi critica non sa in che condizioni si trova la scuola italiana, quali siano le condizioni dei nostri edifici, delle strutture varie.

Basterebbe fare un giro per le nostre scuole, e subito dopo farne un altro, in giro per l’Europa, come abbiamo fatto grazie ai progetti europei (Erasmus+).

E si capirebbero tante cose.

Ad esempio, si comprenderebbe che non ha più senso che si continuino a privilegiare e a salvare aziende decotte, come l’Alitalia, la quale ha appena ricevuto risorse doppie rispetto a quelle riservate alle scuole italiane nel loro insieme.

Dà cioè sempre più fastidio che da un lato si esalti la funzione della scuola e che nel contempo rimanga sempre agli ultimi posti nei finanziamenti pubblici.

Non ci sono, su questi problemi, differenze tra partiti o coalizione. E’ un male loro comune.

Per chiudere, magari potessimo ritornare subito a scuola, nelle nostre classi!

Magari potessimo ritrovarci tutti assieme per salutarci, per una parola buona, per un sorriso, per dirci come stiamo e come siamo.

Invece, per noi non è ancora possibile, perché la regola-base del distanziamento, diversamente da altri mondi sociali e del lavoro, è davvero complicato rispettarla.

Come non avere un qualche rimpianto nel vedere, anche stamattina, le aule vuote?

Perché la scuola, prima di essere una organizzazione dedita all’istruzione e all’educazione, con i problemi di gestione che conosciamo, è una comunità che vive di relazioni, di rapporti umani, di contatti quotidiani.