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Un romanzo su una realtà cruda con spiragli di speranza e possibilità di riscatto: “La casa della gioia” di Enrico Di Stefano

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Campobasso e un bordello di lusso. Il più conosciuto e ricercato della zona; ben organizzato, improntato a regole che prevedono, al di sopra di tutto, il rispetto delle lavoratrici e un certo ossequio per i frequentatori. Parliamo di un tempo in cui la prostituzione era un mestiere che godeva di legittima tutela, ciò non vuol dire che non facesse storcere il naso ai perbenisti, attenti alla facciata e noncuranti della molteplicità dei percorsi di vita. Decisamente diverso da quello dei perbenisti del romanzo è l’approccio del suo autore, Enrico Di Stefano che, con lucidità e delicatezza, offre al lettore de “La Casa della Gioia” (GAEditori), un affresco di donne belle e complesse, offese, stropicciate dalla vita, fisiologicamente indurite, portatrici di malcelate fragilità, ma capaci in ogni caso di non affondare e, talvolta, di risplendere.

La stessa abilità descrittiva di Di Stefano viene ritrovata nei personaggi maschili del romanzo, alcuni dei quali suscitano ilarità e tenerezza, altri che possono risultare emotivamente disturbanti, soprattutto quando mostrano cinismo, superficialità, scarsa considerazione e mortificazione dell’altro sesso. Mariano è fra questi, uomo egocentrico, di valore morale pressoché nullo, esasperatamente attento ai privilegi che possono derivare dalle sue scelte, culturalmente mediocre e disinteressato a qualsiasi forma di miglioramento. Ricco di famiglia e ancor di più dopo il matrimonio, considera le donne come merce da utilizzare a suo piacimento, tanto la moglie quanto le altre, impermeabile a qualsiasi espressione sentimentale. Ispettore federale del partito nazionale fascista, pur inetto anche nella sua funzione politica, offre al lettore parte del contesto generale nel quale si dipanano le vicende dei numerosi e variegati personaggi del racconto.

Anche se gli anni sono quelli del regime fascista, e lo sfondo è inequivocabile, l’attenzione di Di Stefano è prevalentemente prestata alle storie personali e all’umanità delle donne e degli uomini che stazionano nella Casa della Gioia: le une come dispensatrici di piaceri, gli altri come fruitori spesso capricciosi ed esigenti.

Chiare appaiono le regole che vigono nella Casa, che accoglie, a cadenza quindicinale, nuovi gruppi di donne che vi prestano servizio. Donne sempre splendide che in nessun modo devono lasciare trasparire le ferite e la fatica di svolgere un lavoro dal quale vorrebbero fortemente scappare, e che devono invece mostrare desiderio e piacere. Sapientemente agghindate per soddisfare la vista insieme a tutti gli altri sensi, istruite secondo il codice di comportamento della professione, che richiede attenzione al sollazzo del cliente e salvaguardia della salute, all’interno di ben precisi rituali che rispondano ad entrambe le esigenze. Salute, del corpo e della mente, che risulta ad ogni modo compromessa dopo un non elevatissimo numero di anni di attività.

La carriera segue un iter inevitabile, sul quale l’Autore ritorna in più momenti, naturalmente influenzato dal logoramento della donna che, anche quando bellissima, è soggetta ad un invecchiamento sicuramente accelerato dal tipo di attività. Ne consegue una perdita di attrattiva che la declassa costringendola ad esercitare in case di categorie via via più basse, prima di essere definitivamente tagliate fuori dall’attività.

Questa progressione è ben chiara a Dolcina, Lena e le altre ragazze che, per brevi periodi, hanno intrattenuto i facoltosi clienti della Casa della Gioia, luogo non certo felice ma che, a differenza degli altri posti del genere, trova un valore aggiunto nella presenza della cuoca Sofia e della cameriera Margherita. Le due, l’una sostegno per l’altra e, insieme, punti di riferimento emotivo per alcune ragazze, dispensano cura con piccole attenzioni culinarie, ma anche con sguardi vagamente amorevoli.

Un romanzo che percorre un pezzo di storia soffermandosi su elementi squisitamente soggettivi, che sa sdrammatizzare una realtà cruda con note di leggerezza e che lascia spazio alla speranza e alla possibilità di riscatto.

Recensione di Alessandra Muschella