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Una questione di merito

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Chi di noi desidera essere valutato? Probabilmente nessuno. O meglio chi di noi è disposto ad essere valutato negativamente? Certamente nessuno! Ma se la valutazione fosse positiva, capace di far emergere i reali meriti posseduti? Allora tutti ci presteremmo a siffatta valutazione! Ma il criterio, nella sua essenza, è valido nell’un caso come nell’altro, sia nella valutazione positiva che in quella negativa. La valutazione oggettiva può solo accertare il merito posseduto! Che poi la valutazione possa essere fatta in modo non oggettivo è un’altra storia che non va confusa con una infondatezza del principio meritocratico sic et simpliciter.

Come sostenuto da politici anche di sinistra “il merito è l’unico antidoto ad una società classista o a una società appiattita sull’ignoranza. Come realizzare il merito in modo giusto è un dibattito difficile e interessante, rifiutarne il principio è assurdo e antistorico”. Se il principio del merito è coerente con l’art. 34 della Costituzione cioè col principio che consente a capaci e meritevoli, indipendentemente dalla loro condizione economica, di raggiungere alti gradi di istruzione e formazione allora che ben venga! Diamo applicazione ai principi costituzionali! Quando si dice che “la scuola è aperta a tutti” e che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” non si afferma che tutti, compreso quindi anche i non meritevoli (quelli cioè che non si sono impegnati e non hanno voluto farlo neanche se incoraggiati), hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi! Se ciò avviene vuol dire che esiste una disfunzione nel sistema.

Se le prove INVALSI certificano una inadeguatezza formativa generale in tutta Italia, qualcosa di vero ci dovrà pur essere! Mi domando perché i sindacati scolastici in genere non si occupano prioritariamente di questo problema oltreché quello, sacrosanto, di difendere i diritti dei propri iscritti? La lotta sindacale deve operare al servizio di un vero principio di uguaglianza nell’apprendimento, nella scuola, nell’istruzione che eviti distinzione di classe e di genere e deve preoccuparsi di favorire sia il figlio del professionista sia quello dell’operaio, ma a condizione che siano meritevoli, scolasticamente parlando! Se si opera in quest’ottica non si fa torto a nessuno e l’Italia va avanti. Chi non gradisce di essere valutato negativamente, pur meritandolo, deve farsi convinto che ciò è una necessità per non scoraggiare nel proseguire il proprio impegno chi invece si applica con interesse, facendo, allo stesso tempo, comprendere che anche lui avrà diritto ad una valutazione positiva nel momento in cui comincerà ad impegnarsi.  Edulcorare la valutazione sempre e comunque non produce crescita formativa.

Uno che parla così viene spesso frainteso e considerato un castigatore insensibile che non tiene conto delle più elementari nozioni pedagogiche. La verità è che il processo formativo si avvale di numerose regole che devono prendere in considerazione tutti i fattori che possano intervenire nel processo educativo. Aspetti relazionali tra docente e discente, aspetti metodologico – didattici, aspetti culturali, aspetti psico – pedagogici dell’età evolutiva, aspetti sociali e socioculturali, ecc. Non esiste nessun automatismo che possa garantire il successo del processo formativo ma esistono tante possibilità di approccio che possono favorirlo. Un aspetto importante è poi quello della corrispondenza tra valutazione e competenze possedute. Se questa correlazione meritocratica non viene rispettata perde senso anche lo sforzo didattico. L’alunno si demotiva e i livelli si appiattiscono.

Le nuove metodologie didattiche quali la flipped classroom (la classe capovolta), l’apprendimento cooperativo, la peer education, lo Storytelling e il Digital Storytelling, il Debate, il Project Based Learning e il Problem Based Learning, il Phenomenon Based Learning rappresentano tutti dei validi sistemi per cominciare a colmare il gap formativo dei nostri giovani. Ma, sia chiaro, si deve utilizzare strategicamente la premialità! Essa serve ad incoraggiare a fare di più e non a garantire in ogni modo il “successo scolastico”. Gli obiettivi più importanti nella vita, ci hanno insegnato i nostri vecchi, si raggiungono con l’impegno costante e senza mai gettare la spugna. Chi esercita in maniera agonistica le arti sportive lo sa bene.

Giuseppe D’Angelo