
Un altro anno scolastico alla fine è per lo più trascorso. Superato aprile, con i lunghi ponti tra Pasqua e il 25 della Liberazione, si può dire che la scuola abbia chiuso un’altra tappa della sua lunga esistenza nell’educazione dei giovani. E con il prossimo lunedì 10 marzo, gli studenti delle quinte classi delle secondarie di secondo grado si apprestano pure a festeggiare gli ultimi cento giorni che li separano dall’inizio degli esami di stato.
Rito antico questo che si ripete regolarmente da anni e che mette i ragazzi in fibrillazione, in vista appunto della fine definita di un percorso che li ha visti entrare a scuola ancora col moccio sul naso, e finanche coi pannolini nel cestino, e ora uscirsene definitivamente col diploma, col quale lo Stato conferma, dall’alto delle sue prerogative e al di là del voto riportato, che ha fornito a ogni suo cittadino tutte le possibilità per istruirsi e dargli ogni occasione per contribuire pure a migliorare la società in cui vive; ma soprattutto ha dimostrato coi fatti che ha investito tante risorse sul suo futuro e dunque anche su quella della nazione dove la sua futura vita, se non emigra, si svolgerà.
Gli esami di stato sono allora, in qualche modo, il resoconto che lo stato pretende dai suoi giovani cittadini, per confermare se quelle spese e quell’investimento hanno avuto un risultato accettabile o se invece hanno avuto esiti diversi. Un atto di fiducia nei suoi cittadini che richiama per lo più la famosa parabola evangelica dei talenti che il padre lasciò ai figli partendo per un lungo viaggio: chi li moltiplicò, chi non li adoperò e chi invece li dilapidò inutilmente.
Tuttavia, se questo è il principio guida dell’esame di stato, che tante ambasce provoca nei ragazzi proprio perché per la prima volta si trovano al cospetto dello stato, attraverso i suoi commissari, che dunque lo stato rappresentano, per altro verso, come ogni anno, non mancano le critiche: “Pensiamo che il modello valutativo attuale sia estremamente inadeguato e causi solo ansia legata alle scadenze e alla paura del voto, senza riuscire a restituire in una maniera formativa il nostro livello di apprendimento e questo modello di maturità, che si basa principalmente sulle prove e non valorizza il nostro intero percorso scolastico ne è l’esempio”: così una organizzazione studentesca.
In ogni caso, in vista dei fatidici 100 giorni, scuole e studenti festeggiano in maniera diversa: cene, gite fuori porta, viaggi anche all’estero o semplicemente riunioni a casa di qualcuno.
Un modo, questa festa dei 100 giorni, per sottolineare l’inizio della fine di un lungo periodo della vita di ciascuno studente e forse pure per ragionare sul fatto che, a conclusione di quei 100 giorni e degli esami di stato, ogni compagno di classe prenderà una propria autonoma strada lungo la quale non sarà sempre facile trovare incroci e traverse dove rincontrarsi di nuovo. E se avverrà, sarà tutto diverso rispetto a quegli anni, a quelli della scuola.