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Anatomia dell’antiscuola, un volume di Giovanni Messina

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Anatomia dell’antiscuola (Dall’istruzione per pochi all’ignoranza di massa) edito OMBand D.E. è un volume di Giovanni Messina.

Nell’ultimo quarto di secolo la scuola italiana ha conosciuto uno slancio riformista senza precedenti e che probabilmente non ha avuto eguali nel mondo. Dal 1997 al 2015 ci sono state cinque riforme, quante cioè ve ne furono dall’Unità d’Italia alla fine del fascismo. I risultati di questo furore legislativo, improntato a teorie pedagogiche tanto bizzarre quanto deleterie, sono impietosi. Tutti i rilevamenti statistici collocano la scuola italiana nelle posizioni di coda.

“Le fasce più abbienti non chiedono alle scuole private metodologie all’avanguardia, ma la capacità di trasmettere conoscenze solide e cultura”, scrive il filosofo francese Finkielkraut. Nella scuola italiana, invece, è accaduto esattamente il contrario. Un malinteso concetto di uguaglianza ha portato alla scomparsa di ogni meritocrazia, svuotando progressivamente l’insegnamento di contenuti. Ma una scuola che non trasmette conoscenze tradisce la sua missione, perché solo il sapere favorisce la mobilità sociale. Si rimuovono gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità con l’istruzione, non con un pezzo di carta.

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Il volume ripercorre le varie tappe di questa specie di viaggio al termine della scuola, soffermandosi su quei provvedimenti che più hanno inciso negativamente sull’insegnamento, come le linee guida della riforma Moratti, le fallimentari riforme del professionale, i documenti pseudo-aziendalistici tipo il Sillabo per l’imprenditorialità, lo Statuto degli studenti introdotto da Berlinguer, la selva di note, circolari e decreti riguardanti i portatori d’handicap e tutta una serie di norme confuse, inutili, contraddittorie e spesso grottesche.

Sullo sfondo emerge l’immagine di un paese nel quale l’istruzione non è mai stata considerata una priorità o una risorsa su cui investire. Gestita come una fabbrica di consenso nella prima Repubblica, la scuola è diventata un peso morto da “razionalizzare” nella seconda. Tra il 2008 e il 2017 la spesa per l’istruzione in Italia è diminuita di cinque miliardi di euro, mentre in Francia è aumentata di tredici miliardi e in Germania di trenta. Se appena qualche anno prima un ministro di prima importanza poteva permettersi di lisciare il pelo all’ignoranza, affermando che “con la cultura non si mangia” è perché questa era e continua a essere la convinzione più diffusa nel nostro paese.

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