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Bioetica fra i curricoli scolastici

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La stragrande maggioranza degli insegnanti italiani ritiene che la bioetica dovrebbe far parte dei curricoli scolastici: è questo il risultato di una indagine condotta nell’arco di quasi 5 anni su un campione di 1200 docenti della scuola italiana (500 su indicazione dei Provveditorati agli studi, 500 di scuole cattoliche), dall’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
I primi studi di bioetica risalgono agli anni 50 ad opera di padre Agostino Gemelli, fondatore della rivista "Medicina e Morale". Tuttavia il termine venne coniato nel 1971 dall’oncologo americano Van Rensselaer Potter  che definiva la bioetica una "sapienza" che sappia realizzare un "ponte" tra scienze bio-sperimentali e scienze etico-antropologiche.
Ora, a 30 anni di distanza, si parla appunto di insegnarla a tutti: il 46 per cento degli insegnanti intervistati sarebbe favorevole ad introdurla (in forme diversificate) nei programmi delle scuole di ogni ordine e gradi, mentre il 50 per cento sarebbe propenso a riservarne lo studio nella scuola secondaria.
Da un punto di vista metodologico, la maggior parte dei docente ritiene che l’insegnamento della bioetica dovrebbe unificare lezione teorica e analisi dei casi (81 per cento); il 61 per cento degli intervistati ritiene che l’educazione alla bioetica vada fatta dagli insegnanti mentre il 71 per cento pensa  che vada integrata con continuità nei curricoli scolastici.
”I docenti – commentano gli estensori del rapporto di ricerca – sono consapevoli che lo spazio dedicato alla bioetica non può essere occupato solo dalla trasmissione di nozioni ma deve contagiare atteggiamenti, contenuti, testimonianze, affinchè fanciulli e adolescenti possano comprendere che i problemi della vita e della salute richiedono scelte ponderate e responsabili".
I risultati della ricerca sono stati presentati di recente dal rettore dell’Università Cattolica Sergio Zaninelli che ha sottolineato come "le questioni etiche proprie della bioetica non riguardano solo i medici, gli scienziati, i filosofi o i giuristi,  ma tutti i cittadini, perché interrogano la nostra civiltà tecnologica e ci interpellano sul valore del progresso della società".