
Una bocciatura scolastica si è trasformata in una controversia legale, con una famiglia che ha deciso di fare causa a un liceo fiorentino e al Ministero dell’Istruzione e del Merito, chiedendo un risarcimento di 30mila euro (come avevamo riportato in questo articolo). Secondo i genitori dello studente, l’istituto non avrebbe rispettato gli impegni previsti dal Piano Didattico Personalizzato (PDP), non garantendo il necessario supporto per gestire il disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) del ragazzo.
Il ricorso, tuttavia, è stato respinto dal Tar della Toscana, che lo ha dichiarato «inammissibile e comunque infondato», condannando la famiglia al pagamento di 2mila euro di spese legali. Nonostante ciò, i legali hanno annunciato l’intenzione di presentare appello al Consiglio di Stato.
La famiglia è intervenuta con un’intervista rilasciata al Corriere, sostenendo che il ragazzo non sia stato adeguatamente seguito e che, anzi, sia stato emarginato dal contesto scolastico. Secondo la loro versione, i docenti avrebbero ripetutamente suggerito al giovane di cambiare scuola, comunicandolo direttamente a lui, senza coinvolgere i genitori. Questa situazione avrebbe avuto un impatto negativo sulla sua autostima, aggravando le difficoltà scolastiche già presenti.
Attualmente, il ragazzo frequenta un istituto privato e ha recuperato l’anno perso, mantenendo una buona media, nonostante le sfide legate al disturbo dell’apprendimento. La famiglia ribadisce che il problema non sia stata la bocciatura in sé, ma le modalità con cui è stata gestita, ritenute poco rispettose e inadeguate per uno studente con bisogni educativi specifici.
Secondo il Tar, però, le contestazioni mosse dai genitori non rientrano nell’ambito di un giudizio amministrativo, in quanto puntano a una valutazione di natura più ampia, quasi di tipo penalistico, sul comportamento degli insegnanti. La vicenda ora è nelle mani del Consiglio di Stato, che dovrà decidere se riaprire il caso o confermare la sentenza di primo grado.