Home Università e Afam Boeri: troppi umanisti e poca formazione in azienda

Boeri: troppi umanisti e poca formazione in azienda

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Titoli di studio inadeguati rispetto alle esigenze di mercato: «Nonostante i laureati in facoltà come Medicina, Ingegneria, Economia abbiano più sbocchi e, in media, garantiscano un reddito superiore di 25 mila euro l’anno rispetto agli altri laureati. In generale i nostri laureati sono sotto la media europea per quel che riguarda le competenze linguistiche e matematiche», ma a questo si aggiunge che, a monte, la scelta del corso di laurea «non venga vista come investimento per il futuro».

Questa è l’opinione del presidente dell’Inps, Tito Boeri, espressa all’inaugurazione dell’anno accademico dell’università di Torino e di cui fa il report Il Sole 24 Ore.

Il tasso di disoccupazione per gli italiani laureati tra i 27 e i 39 anni è superiore al 10%, contro la Germania dove è il 2% ed è di solo leggermente inferiore a quello dei diplomati, pari all’11,1% e questa è «un’anomalia italiana», ha sottolineato ancora Boeri. Inoltre gli «studenti universitari italiani si laureano ed entrano nel mercato del lavoro con un anno di ritardo rispetto ai loro coetanei dell’Unione europea. Il periodo di transizione dal college al primo lavoro in Italia è di circa 10 mesi, il doppio della media Europea».

Tuttavia secondo Boeri, il paradosso è che mancano le figure che servono: «L’Italia è tra i Paesi Ocse quello che evidenzia il mismatch maggiore, ossia il numero più elevato di lavoratori che sono collocati nel posto sbagliato in base alle proprie competenze e questo rappresenta uno spreco di risorse umane».

 

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Bisognerebbe allora, spiega Boeri, promuovere “un migliore incontro tra offerta e domanda di competenze” e non solo per migliorare “la condizione dei datori di lavoro e dei lavoratori, ma anche la situazione economica generale, in quanto la produttività potrebbe crescere fino a 10 punti percentuali, è tutto questo senza dover fare scelte dolorose e senza licenziare».

Boeri ha pure detto che la laurea viene scelta «più come consumo che come investimento», il ritardo con cui ci si laurea, almeno un anno rispetto alla media europea, la mancanza di formazione sul posto di lavoro, una contrattazione centralizzata e una contribuzione salariale che non premia i laureati, che hanno una retribuzione di poco superiore ai diplomati.