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“Cari docenti, perché insegnate? Vi guardo e vedo il nulla, solo un automa che sputa parole”: la lettera di un’alunna è virale

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Una lettera scritta da una studentessa ai propri insegnanti sta letteralmente spopolando. Il messaggio è stato pubblicato dal docente e scrittore Enrico Galiano sulla sua pagina Facebook, che ha cercato di stimolare una riflessione ai suoi colleghi.

La lettera è stata affissa nella bacheca di una scuola, e una mamma l’ha inviata a Galiano. “Non commento, vorrei che foste voi a rispondere. Com’è possibile che una ragazza possa sentirsi così a scuola? Sì perché dentro, dentro questa lettera, c’è tutto il dolore sommerso di chi ogni giorno entra in classe con la voglia di capire, di crescere, di trovare un senso — e ne esce svuotato. Io questa lettera l’ho letta ad alta voce. Perché non resti lì, appesa al muro, inascoltata. Perché possa diventare eco, domanda, riflessione. Perché oggi, più che mai, abbiamo bisogno di ascoltare. Se avete voglia, potete rispondere voi qui sotto a questa lettera”, ha detto il prof.

Il testo integrale della lettera che sta scuotendo la scuola

Ecco il testo integrale della lettera, che ha attirato moltissimi commenti da parte di docenti: “Cari professori, è quasi un peccato essere arrivati così in basso da trovar necessario scrivere una lettera, ma non vi vedo soluzione. Secondo la cultura giapponese ogni persona dovrebbe possedere un ikigai, cioè uno scopo nella vita, quel qualcosa che ti fa svegliare la mattina. Bene, io l’avevo trovato nello studiare, lo facevo con passione, quasi devozione. Mi svegliavo la mattina consapevole che andare a scuola, imparare, studiare fosse il mio scopo. Poi ho iniziato a comprendere, ogni giorno di più, che non ha alcuna utilità: di utile, non mi viene spiegato nulla in modo appassionante, non vengo mai ricompensata per il duro lavoro. Quando arrivo a casa e devo aprire il libro per studiare mi viene da piangere, sento la mia mente chiudersi, bloccarsi. Quando sono in classe sento solo morte, mi guardo attorno e vedo i miei compagni con gli occhi spenti o addormentati, guardo verso di voi e vedo il nulla, solo una specie di automa che sputa parole su fatti decaduti i cui valori nascosti sono stati sepolti con le loro vittime. Continuate a ripetermi che i voti non contano, che non sono ciò che fanno una persona. Per fortuna è vero, ma giudicate ore e ore di studio, ore in cui sono stata attenta in classe, pensieri e pensieri attivati solo per essere giudicati mediocremente, e chissà poi perché, dal momento che non mi viene mai spiegata una sola volta quali siano i problemi. Quando sono in bus per arrivare a scuola, mi chiedo perché mai stia venendo, perché mai ho anche avuto la cura di mettere i libri giusti nello zaino e di fare i compiti, quando so benissimo che intanto nulla verrà ricompensato. Mi domando perché la mattina mi sono alzata per andare in un luogo dove nessuno mi vede, dove nulla mi interessa, dove si è solo di fretta e in ansia per finire un programma che nessuno sa davvero perché segue, dove mi giudicate per quindici minuti e mettete sul registro un voto immotivato su qualcosa che mi avete spiegato in modo freddo, distante e morto. Pretendete un albero altissimo, meraviglioso, possente, ma non vi curate un minimo di innaffiarlo, di fertilizzarlo, di assisterlo con un bastoncino quando il fusto è troppo fragile. Che non vi venga in mente di dire che sto solo polemizzando perché intanto ogni volta che chiedete come sto, volete sapere solo che sto bene anche se tutto va male. Non volete sapere che sto soffrendo, che vengo a scuola solo per ottenere il diploma, che non mi viene spiegato nulla di nuovo. Non volete sapere che ognuno degli alunni delle vostre classi si sente solo, disperso, in ansia, che alcuni preferirebbero morire. Esigete la sapienza, le capacità, la maturità di persone molto più mature di noi, quando siamo solo diciassettenni che non sanno nulla sul mondo. Sappiamo solo che siamo oppressi, annoiati, devastati, terrorizzati dalle vostre verifiche, dalle vostre interrogazioni, dalle vostre parole. Ho delle domande per tutti voi, siate sinceri almeno con voi stessi, perché insegnate? Quando ci guardate cosa vedete? Credete che essere insegnanti sia un lavoro sociale?”

La risposta di altri studenti

La lettera di una studentessa, che secondo Il Resto del Carlino, è di un liceo scientifico della provincia di Ravenna, è diventata virale al punto da raggiungere anche gli studenti di un’altra scuola, che hanno deciso di rispondere all’alunna dedicandole a loro volta una lettera intitolata ’Noi ti vediamo…’. “Le tue parole ci hanno scosso profondamente – scrivono – come un pugno allo stomaco e, allo stesso tempo, come una carezza che arriva da qualcuno che finalmente ha trovato il coraggio di dire ad alta voce quello che tanti tengono dentro in silenzio. Vogliamo dirti subito una cosa, la più importante: Ti abbiamo vista”.

Nello scritto gli studenti delle due classi ammettono di aver provato gli stessi sentimenti, fino a quando qualcosa è cambiato. “Non vogliamo dire che tutto ora sia perfetto perché nessun luogo lo è. Ma noi – spiegano – abbiamo incontrato adulti, professori veri, che ci hanno insegnato una cosa fondamentale: nessun insegnamento vale qualcosa se non parte da una relazione. I nostri prof. Ci ascoltano davvero. Ci conoscono per nome, conoscono le nostre storie, sanno quando siamo tristi anche se non lo diciamo. Ci aiutano a rialzarci quando cadiamo e ci ricordano ogni giorno che valiamo anche quando noi non lo vediamo. Speriamo che qualcuno, nella tua scuola legga davvero la tua lettera con il cuore. Speriamo che un adulto si fermi, ti guardi negli occhi e dica ‘Hai ragione, scusaci. Cominciamo da capo’. E se nessuno lo fa, allora fallo tu, per te stessa. Non smettere di crederci. Mai”.

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