
Di competenze digitali si parla ormai da tempo. Il tema è presente nei principali documenti europei che si occupano di istruzione e ora anche nelle Nuove Indicazioni per il primo ciclo ci sono passaggi significativi in proposito.
In proposito abbiamo raccolto il parere di Roberto Ricci, presidente dell’Invalsi.
Come si attrezzando l’Invalsi per affrontare la valutazione di questo nuovo genere competenze?
Abbiamo iniziato un percorso importante. Nei giorni scorsi l’Istituto ha dato avvio ad una rilevazione con un campione abbastanza rilevante: a 20mila studenti della classe seconda della secondaria di secondo grado sono state proposte prove per saggiare le competenze digitali e devo dire abbiamo riscontrato grande interesse e disponibilità da parte delle scuole.
Per il 2025-26 c’è da aspettarsi che su questo nelle prove Invalsi ci sia una maggiore attenzione in tutti i livelli di scuola?
In tutti direi di no, perché la scuola primaria è ancora un momento molto delicato, men sembra che per ora la scuola non sia ancora pronta; diverso è il discorso sulla secondaria: dobbiamo analizzare i risultati delle rilevazioni che abbiamo appena fatto e poi ovviamente sarà il decisore politico a valutare la opportunità o meno di proseguire su questa strada.
Di recente è uscito un suo libro intitolato “Competenze digitali nella scuola, un ponte tra passato e futuro”. Perché lei parla di ponte?

Come spesso si fa in queste occasioni, il titolo rappresenta il messaggio fondamentale che si cerca trasmettere attraverso lo scritto. Ed io volevo sottolineare proprio l’idea del ponte: secondo me le competenze digitali non rappresentano una frattura o una discontinuità rispetto al passato.
Se noi leggiamo con attenzione i documenti sull’argomento, tra i quali, per esempio, i documenti della Commissione Europea come il DGCOMP o il DGCOMP EDU, possiamo constatare che gli apprendimenti “tradizionali” che hanno sempre caratterizzato l’operato della nostra scuola sono il prerequisito fondamentale per sviluppare queste competenze.
Quindi, comprendere un testo nel senso tradizionale del termine non è il passato e usare l’intelligenza artificiale non è il futuro…
Proprio così: leggere e interpretare profondamente un testo è più futuro che passato, perché lo strumento più forte che noi abbiamo per valutare l’attendibilità o la rilevanza di una fonte è proprio la qualità del testo che leggiamo; l’accuratezza, la completezza, la ricchezza lessicale, la struttura sintattico-organizzativa del testo e così via e sono aspetti fondamentali. D’altra parte la stessa intelligenza artificiale ci è tanto più utile quanto più siamo in grado di porre delle domande e di valutare criticamente le risposte.
Dobbiamo pensare alla intelligenza artificiale a scuola come a un potente alleato, ovviamente all’interno di un sistema di controlli, presidi, valutazioni didattico-pedagogiche. Certo c’è il rischio che gli studenti la usino per farsi fare i compiti, ma penso che dovremmo preoccuparci assai di più di un altro aspetto: che domanda ha fatto lo studente all’intelligenza artificiale per avere la risposta? Sono in gioco il pensiero critico e la capacità di organizzare le informazioni, individuare i punti chiave e così via e questo è quello che conta.
Il futuro è più vicino di quello che pensiamo?
Onestamente penso di sì. Faccio un esempio, ma ne potrei fare tanti altri: non da oggi le scienze pedagogiche ci dicono che la personalizzazione è uno strumento fondamentale che però si è sempre scontrato con la possibilità operativa di metterlo in atto.
Bene, a questo punto, la tecnologia può essere di grande aiuto e può facilitare l’avvio di pratiche di personalizzazione. Ecco perché dico che forse abbiamo già un piede nel futuro.
Il tema delle competenze digitali ci mette di fronte ad una questione politica più generale che ha a che fare anche con la presa di coscienza dei meccanismi che governano lo sviluppo delle tecnologie: è un tema non secondario, è d’accordo?
Come sempre gli strumenti non sono né buoni né cattivi, molto dipende dall’uso che ne facciamo, e questo è avvenuto nella storia degli ultimi due, tre secoli. Tutte le volte che c’è stato un salto tecnologico ci si è sempre trovati di fronte a questo problema. Ed oggi è un tema ancora più rilevante; credo quindi nella necessità che gli insegnanti, forti di un robusto bagaglio culturale, si cimentino con questi temi proprio per fare da guida agli studenti.
A mio parere, il punto centrale di questo dibattito è questo: siamo di fronte a transizioni significative, credo che non abbia molto senso porsi il problema se accettarle o meno perché sono talmente forti e veloci che non è neppure possibile opporsi; quello che dobbiamo fare è riflettere molto sulle reali possibilità di accesso, sugli eventuali usi distorsivi e sul controllo democratico sulla informazione. Sono temi profondi che incidono anche in modo molto forte sulla nostra quotidianità.
La “questione digitale” ha anche risvolti etici…
Certo: abbiamo a che fare con l’uso delle informazioni che ci riguardano; ognuno di noi ha il diritto di vedere trattati i propri dati in modo corretto, ma ha anche il dovere di trattare accuratamente i dati altrui.
Il dibattito è molto ampio e sicuramente tutti dobbiamo sentirci coinvolti.