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Dal no alla legge 107 ad un contratto del pubblico impiego finanziato dalla scuola

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Il mezzo fallimento delle manifestazioni svoltesi ieri in diverse città italiane per iniziativa dei sindacati del comparto (i Cobas erano presenti soprattutto a Roma e in Sardegna) offre qualche elemento di riflessione. 

La prima domanda è: ma come mai il mondo della scuola, che aveva partecipato in massa allo sciopero del 5 maggio, ha quasi disertato le manifestazioni del 24 ottobre?
La risposta non è semplice ma forse può essere utile tornare all’autunno del 2008 quando allo storico sciopero del 30 ottobre seguì un lungo periodo di stasi sindacale.
Il fatto è, secondo noi, che in entrambi i casi l’unità sindacale sulla quale si fondavano gli scioperi era più formale che sostanziale. Nell’autunno 2008 era talmente poco solida che addirittura il giorno dopo (e non 3 o 4 mesi dopo) gli stessi sindacati firmarono un accordo quadro separato (non aveva aderito la Cgil).
A maggio i sindacati del comparto sono stati sì uniti ma solo per evitare di lasciare nelle mani dei sindacati di base l’iniziativa della protesta contro la legge 107: non dimentichiamo che – pur di evitare di lasciare tutto in mano al sindacalismo alternativo i confederali hanno accettato persino di proclamare lo sciopero in una data già individuata dai Cobas e furono persino costretti a “digerire” il fatto di scioperare nello stesso giorno in cui i Cobas protestavano contro i test Invalsi.
D’altra parte che non ci sia reale unità di intenti fra i 5 sindacati del comparto è dimostrato anche da un altro elemento: per evitare di “spaccarsi” i 5 stanno modificando (e non poco) la propria piattaforma che si sta allargando all’intero pubbico impiego.
Evitando però di dire a docenti e Ata che un eventuale contratto del pubblico impiego sarà finanziato in larga misura con i risparmi derivanti dal piano di assunzioni (a causa del rinvio a dicembre della fase C e di un numero di assunzioni inferiore al tetto di 55mila posti previsto dalla legge 107 il risparmio sarà di circa 700 milioni di euro).
D’altronde non è un caso che proprio su quest’ultimo punto i sindacati del comparto si siano chiusi in un rigoroso silenzio, pensando forse di attribuirsi il merito di essere riusciti a strappare altri soldi al Governo per il rinnovo dei contratti.