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Decreto dignità, non cambia nulla: l’Aula della Camera cassa tutti gli emendamenti sulla scuola

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Nulla di fatto per i tanti emendamenti all’articolo 4 del decreto dignità, così come formulato dalle commissioni di competenza della Camera: nel corso della seduta no-stop del 1° agosto, l’Aula ha respinto tutte le richieste di modifica al decreto, formulate da diversi partiti d’opposizione.

Fino alle 23.10, si sono succeduti diversi parlamentari dei gruppi non governativi, nel cercare di convincere i colleghi sull’opportunità di modificare oppure sospendere il provvedimento che in corso d’anno trasformerà tutti i contratti, anche quelli di oltre 6mila diplomati magistrale già immessi in ruolo, in supplenze fino al prossimo 30 giugno.

Il 2 agosto l’esame riprenderà alle 9: le dichiarazioni di voto sono previste intorno alle 21 dello stesso giorno e verranno trasmesse in diretta tv.

Gli interventi in Aula

Più volte è intervenuto l’on. Stefano Fassina (LeU), che ha proposto “un piano assunzionale pluriennale, che ha come riferimento uno sblocco integrale del turnover”, oltre alla “possibilità di avere un numero adeguato di insegnanti di sostegno e di personale amministrativo e tecnico ausiliario, che è un altro comparto importante che spesso viene dimenticato”.

Inoltre, ha detto Fassina, “riconosciamo i laureati e le laureate in scienza della formazione, quelli con percorso abilitante speciale e tirocinio formativo attivo, e coloro che hanno svolto più di 36 mesi di lavoro a tempo determinato”.

Infine, il deputato laziale ha tenuto a dire che “con l’articolo 4 questo Parlamento scarica i costi del proprio malfunzionamento e delle norme ambigue e contraddittorie che si sono succedute sulle spalle delle insegnanti e poi, alla fine, degli studenti e degli alunni che subiranno le conseguenze di una drammatica discontinuità didattica”.

Tra gli onorevoli più attivi, è figurata Anna Ascani (Pd), per la quale il governo “ha preso da un cassetto “proposte ed altri”, le ha copiate male e ha tirato fuori una soluzione pasticciata, che, di fatto, scontenta tutti.

L’on. Valentina Aprea (Fi) ha detto che l’opposizione del partito “è motivata ora da almeno tre grandi questioni”: l’elevato numero di contro interessati a questa norma, ne vogliamo citare alcuni? Gli stessi diplomati magistrali che si aspettavano di entrare nelle GaE, gli insegnanti di sostegno specializzati, gli insegnanti delle scuole paritarie che hanno maturato i due anni di supplenza nelle scuole non statali. Seconda questione: l’elevato numero di contenziosi tuttora pendenti presso il Ministero. Terza questione: il ricambio generazionale.

In un secondo momento, la Aprea ha detto anche che “il grande omissis che c’è in questo vostro impianto è che l’effetto licenziamento che è stato ampiamente dimostrato si produrrà immediatamente e più velocemente soprattutto a partire dal Mezzogiorno, perché lì le graduatorie ad esaurimento sono ancora graduatorie lunghe. E quindi sposteremo un’ampia platea di docenti in un’altra platea che poteva essere quella del reddito di cittadinanza”.

L’on. Federico Mollicone (Fdi) è stato protagonista di un lapsus: parlando del vicepremier grillino ha detto “Massimo Di Maio” anziché “Luigi Di Maio”. Poi ha detto che il decreto “creerà disperazione, creerà disoccupazione”.

A quel punto, è intervenuta di nuovo l’on. Anna Ascani (Pd) per “dire che non so se il collega Mollicone ha fatto un errore, ma evidentemente aveva ragione, perché quello in campagna elettorale non può essere lo stesso Luigi Di Maio che ha fatto l’articolo di questo decreto”.

Tra i pochi a parlare per la maggioranza, è stata Lucia Azzolina (M5S): “Nessuno – ha detto verrà licenziato a metà anno, perché non è questo il nostro obiettivo e questo deve essere assolutamente chiaro a quest’Aula, perché di inesattezze ne sono state dette tante. Quindi, in primis l’interesse dei nostri bambini, la continuità didattica, che è fondamentale. Dopodiché, nel rispetto assoluto dell’articolo 97 della Costituzione, abbiamo pensato a fare il concorso, che è quello per il quale si entra nella pubblica amministrazione”.