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Decreto legge 36, sulla formazione dei docenti finanziata coi tagli di 10mila cattedre il Governo non molla: voto in Aula ancora rinviato

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Sta diventando un rebus il maxi emendamento sulla scuola al decreto legge 36 che cambia le modalità di assunzione e formazione dei docenti: nemmeno lunedì 20 giugno i senatori delle commissioni Affari costituzionali e Istruzione sono riusciti a trovare una mediazione con il Governo. Quest’ultimo era stato invitato a presentare una bozza di testo con le modifiche (tante) richieste. Ma evidentemente le parti sono rimaste molto lontane. Ed è tutto dire che sul DL 36 solo le norme del comparto Scuola sono rimaste in sospeso.

I motivi del disaccordo

Uno dei punti di dissenso rimane il taglio di 9.600 cattedre, a partire dal 2026, previsto dal testo del decreto per finanziare la formazione incentivata.

Il Governo, come lo stesso ministro, continuano a sostenere che si tratta di una cancellazione minimale. E che, anzi, se chi governa avesse guardato solo alla forte denatalità, ha sottolineato il professore Patrizio Bianchi, i tagli alle cattedre sarebbero stati 130mila.

Le proteste dei sindacati

Sulla conferma di molte delle disposizioni originarie del decreto 36, si registra anche l’opposizione dei sindacati.

Marcello Pacifico, presidente Anief, contesta il taglio (seppure tra quattro anni) delle cattedre di potenziamento: “con 15 miliardi in arrivo dal Pnrr, Governo e amministrazione scolastica avrebbero dovuto avere solo una priorità: dimezzare il numero di alunni per classe e incrementare il personale”.

“Occorre aumentare il numero di cattedre, non certo ridurlo, come invece si vuole fare, assieme alla spesa per la Scuola rispetto al Pil a partire dal 2025”, ha tuonato il sindacalista.

Poi, rimangono da definire le parti del nuovo reclutamento, che a detta sempre dei sindacati diventano troppo lunghe e complesse. Come pure la questione dei nuovi concorsi a “crocette”, che stanno già producendo “stragi” di candidati, in certi casi messi fuori gioco nel 90% dei casi già al termine della prima prova scritta.

Niente accordo

Fatta salva (probabilmente) la Carta del docente, che quindi dovrebbe rimanere pari a 500 euro annui (almeno per il 2022/23), tra i senatori permane un certo malumore per il nuovo sistema di reclutamento

“Ancora non siamo in grado di concludere i lavori, abbiamo bisogno di tutto il pomeriggio e quindi chiediamo il rinvio della discussione generale alla seduta di domani mattina”, martedì 21 giugno, ha detto il senatore Davide Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato.

Le parole di Parrini, pronunciate in Aula per giustificare l’ennesimo slittamento di voto al DL 36 Pnrr, fanno intendere come la situazione sia complessa.  

Si va verso il voto di fiducia

Le prossime ore, comunque, saranno decisive. È imminente, infatti, il giudizio finale delle commissioni Affari costituzionali e Istruzione sul maxi emendamento sulla scuola.

Subito dopo, la conferenza dei capigruppo deciderà quando far votare in Aula il testo così come approvato dalle commissioni: è molto probabile che la votazione si effettui tra mercoledì e giovedì. Come è assai probabile che il Governo porrà la questione di fiducia, bypassando in tal modo le modifiche chieste dai senatori della I e VII commissione di Palazzo Madama.

Infine, va ricordato che per la conversione del decreto 36 occorre anche l’ultimo passaggio (a testo praticamente “blindato”) alla Camera: un passaggio finale che però al momento non appare del tutto scontato.

Cosa accadrà, infatti, se qualche partito di maggioranza (Lega in testa) dovesse dire ‘no’, anche nell’Aula di Palazzo Madama, alla volontà del Governo di imporre le sue regole su reclutamento e formazione dei docenti nei prossimi anni?

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