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Dilexi te, l’Esortazione Apostolica di Leone XIV contro tutte le povertà, anche quelle educative

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Il 4 ottobre scorso, festa di san Francesco, papa Leone XIV ha firmato la sua prima esortazione apostolica intitolata Dilexi te.

Una esortazione apostolica è un testo pontificio meno impegnativo rispetto ad una enciclica, che in genere affronta temi dottrinali ed è spesso rivolta a tutti, a prescindere dall’appartenenza ecclesiale. Meno impegnativo non significa però meno significativo o importante.

Ed è quello che possiamo dire di questo importante testo che Leone XIV ci consegna e che ci interroga in prima persona sia come cristiani che come educatori e cittadini.

Sulla scia di papa Francesco

Leone apre emblematicamente dichiarando che la Dilexit te (“io ti ho amato”, versetto ripreso da Apocalisse 3,9) si colloca esattamente sulla scia dell’ultimo testo di papa Francesco, l’enciclica Dilexit nos dedicata all’amore umano e divino del Sacro Cuore di Gesù.

Scrive Leone (D.T. 4) che negli ultimi tempi Francesco stava lavorando ad un’esortazione apostolica sulla cura della Chiesa per i poveri e con i poveri, intitolata Dilexit te, immaginando che Cristo si rivolga ad ognuno di loro dicendo: Hai poca forza, poco potere, ma «io ti ho amato» (Ap 3,9). Avendo ricevuto come in eredità questo progetto, sono felice di farlo mio – aggiungendo alcune riflessioni – e di proporlo ancora all’inizio del mio pontificato, condividendo il desiderio dell’amato Predecessore che tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri. Anch’io infatti ritengo necessario insistere su questo cammino di santificazione, perché nel «richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni santo cerca di conformarsi»

Una dichiarazione, questa, decisamente importante in un tempo in cui i vari vaticanisti e vaticanologi si interrogano su quanto Leone sia vicino/lontano dal suo predecessore.

La Dilexi te (qui il testo integrale) si compone di 121 punti distribuiti in cinque capitoli.

La scrittura è decisamente piana, chiarissima, puntale e comprensibile da chiunque.

I poveri come paradigma

L’esortazione apostolica si apre ricordando che i poveri sono la chiave di giudizio dell’azione del cristiano, come dice Gesù:

«Io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20). E nello stesso tempo: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40) ».

A livello biblico sia il primo che il secondo testamento vedono proprio nella liberazione dei poveri l’azione chiave di Dio stesso:

«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo […] Perciò va’! Io ti mando» ( Es 3,7-8.10). Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,52-53). Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18; cfr Is 61,1)»

Contro i pregiudizi ideologici

Ma non si tratta solo di uno sguardo assistenziale, politico o sociologico.

I poveri sono la misura stessa della qualità e bontà della vita della chiesa come comunità, come dei singoli cristiani e delle società umane.

“La condizione dei poveri rappresenta un grido che, nella storia dell’umanità, interpella costantemente la nostra vita, le nostre società, i sistemi politici ed economici e, non da ultimo, anche la Chiesa” (D.N.9).

Ed è proprio a partire da questa consapevolezza che si dipana il percorso della lettera apostolica partendo da quelli che il papa chiama pregiudizi ideologici, primo tra tutti il concetto di merito.

Leggiamo al punto 14:

I poveri non ci sono per caso o per un cieco e amaro destino. Tanto meno la povertà, per la maggior parte di costoro, è una scelta. Eppure, c’è ancora qualcuno che osa affermarlo, mostrando cecità e crudeltà. Ovviamente, tra i poveri c’è pure chi non vuole lavorare, magari perché i suoi antenati, che hanno lavorato tutta la vita, sono morti poveri. Ma ce ne sono tanti – uomini e donne – che comunque lavorano dalla mattina alla sera, forse raccogliendo cartoni o facendo altre attività del genere, pur sapendo che questo sforzo servirà solo a sopravvivere e mai a migliorare veramente la loro vita. Non possiamo dire che la maggior parte dei poveri lo sono perché non hanno acquistato dei “meriti”, secondo quella falsa visione della meritocrazia dove sembra che abbiano meriti solo quelli che hanno avuto successo nella vita.

I testi biblici: Dio sceglie i poveri

Dopo aver delineato brevemente come il Primo Testamento e poi i Vangeli e il secondo testamento affrontano il tema della povera, anzi delle molte povertà, si giunge in sostanza a ribadire con molte citazioni e analisi bibliche ciò che sostiene la lettera di Giacomo

«A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in sé stessa è morta» (Gc 2,14-17).

Del resto lo stesso giudizio finale, nel racconto di Gesù, si basa proprio su questi semplici parametri di giudizio: ero affamato, ero assetato, ero straniero… e mi avete accolto, dissetato, sfamato (cfr Mt 25,31-46).

E con durezza il papa ricorda che queste sono parole chiare, che non richiedono troppe interpretazioni ed “elucubrazioni” ma piuttosto una coerente azione (DN 28). E poco dopo (DN 31) aggiunge:

«La riflessione della Chiesa su questi testi non dovrebbe oscurare o indebolire il loro significato esortativo, ma piuttosto aiutare a farli propri con coraggio e fervore. Perché complicare ciò che è così semplice? Gli apparati concettuali esistono per favorire il contatto con la realtà che si vuole spiegare e non per allontanarci da essa».

Una Chiesa per i poveri

Nel capitolo terzo il Papa ripercorre con grande maestria e brevi ma profondissimi tratteggi, la storia della Chiesa come storia di impegno per i poveri.

E lo fa ripercorrendo sia la vita della prima comunità cristiana che poi, lungo la storia, l’impegno di singoli, comunità, ordini e congregazioni che hanno saputo leggere le diverse e specifiche povertà dei propri tempi impegnandosi a realizzare opere ed istituzioni che le combattessero.

Impossibile fare qui l’elenco dei personaggi citati (da Policarpo di Smirne a san Agostino, da san Benedetto a san Francesco, a Santa Teresa di Calcutta) che si sono impegnati nei diversi ambiti: la cura dei malati, i poveri in ambito monastico, la liberazione dei prigionieri e degli schiavi, i migranti, gli ultimi. E in questo elenco uno spazio specifico è dedicato alla cura di poveri in ambito educativo con la ripresa delle esperienze di san Giuseppe Calasanzio fondatore degli Scolopi, di san Giovanni Battista de La Salle, dei fratelli Maristi, dei salesiani di don Bosco, di don Rosmini e delle moltissime congregazioni femminili che furono protagoniste di questa rivoluzione pedagogica.

Le Orsoline, le monache della Compagnia di Maria Nostra Signora, le Maestre Pie e tante altre, fondate specialmente nei secoli XVIII e XIX, occuparono spazi dove lo Stato era assente. Crearono scuole in piccoli villaggi, nelle periferie e nei quartieri popolari. L’istruzione delle ragazze, in particolare, divenne una priorità. Le suore alfabetizzavano, evangelizzavano, si occupavano delle questioni pratiche della vita quotidiana, elevavano lo spirito attraverso la coltivazione delle arti e, soprattutto, formavano le coscienze. La loro pedagogia era semplice: vicinanza, pazienza, dolcezza. Insegnavano con la vita, prima che con le parole. In tempi di analfabetismo diffuso e di esclusione strutturale, queste donne consacrate erano fari di speranza. La loro missione era formare il cuore, insegnare a pensare, promuovere la dignità. Coniugando vita di pietà e dedizione al prossimo, hanno combattuto l’abbandono con la tenerezza di chi educa in nome di Cristo. (DN 71)

Il terzo capitolo si chiude con una riflessione e una valorizzazione dei movimenti popolari (DN 80-81) che si impegno nella lotta alla povertà e per la trasformazione sociale e che spesso sono perseguitati dal potere.

La storia continua: l’economia che uccide

Il capitolo quarto segnala (e per Papa Leone XIV si tratta di un punto cruciale) come la Chiesa si sia fatta carico delle tensioni sociali ed economiche derivanti dal cambio di paradigma connesso all’industrializzazione con la pubblicazione dell’Enciclica Rerum Novarum nel 1891 e poi con molte encicliche nel ‘900 e soprattutto con il Concilio Vaticano II abbia costantemente ribadito i suo punto di vista che vede nei poveri i metro di giudizio con cui valutare una società.

Il testo dedica poi molto spazio alla riflessione e azione della chiesa sudamericana (documenti di Medellin, Puebla e Aparecida) che con chiarezza denunciò le “Strutture di peccato che creano povertà e disuguaglianze estreme”.

La sintesi del Papa è durissima:

È pertanto doveroso continuare a denunciare la “dittatura di un’economia che uccide” e riconoscere che «mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole».

Sebbene non manchino diverse teorie che tentano di giustificare lo stato attuale delle cose, o di spiegare che la razionalità economica esige da noi di aspettare che le forze invisibili del mercato risolvano tutto, la dignità di ogni persona umana dev’essere rispettata adesso, non domani, e la situazione di miseria di tante persone a cui viene negata questa dignità dev’essere un richiamo costante per la nostra coscienza (92).

Il buon Samaritano

Così, avviandosi alla conclusione, papa Leone ribadisce il suo essere vicino al suo predecessore riprendendo dalla Fratelli tutti (n. 64) lo snodo cruciale dell’analisi della parabola del buon samaritano e dei tre diversi comportamenti del levita, del sacerdote e del samaritano di fronte alla persona ferita dai banditi.

Papa Francesco rivolge direttamente ad ognuno la domanda chiave:

Con chi ti identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisiva. A quale di loro assomigli? Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente». FT 64 e DN 105

I poveri come soggetto

Il cuore della lettera apostolica è così identificato nel fatto che l’azione nei confronti dei poveri non può essere solo per i poveri (come si trattasse solo di fare più assistenza) ma deve essere con i poveri riconosciuti come soggetti attivi che costringono chiesa e società a cambiare paradigma. Ad abbandonare il principio che vede nell’arricchimento continuo e per pochi il parametro di valutazione delle società e delle economie.

Rischio questo che coinvolge spesso anche le comunità cristiane più impegnate a ribadire la ortodossia che a praticare l’ortoprassi.

Così anche le ultime righe della lettera, dedicata al valore dell’elemosina, hanno un valore speciale.

Papa Leone sa bene che l’elemosina nei confronti dei singoli poveri non risolve la loro situazione ma sa anche che mentre lavoriamo per costruire nuova società l’atto dell’elemosina ci costringe a guardare negli occhi il povero cui facciamo elemosina.

I suoi occhi nei nostri, a interrogare la nostra vita.