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Diplomati magistrale, altri ricorrenti entrano nelle GaE: sentenza plenaria sconfessata dallo stesso Consiglio di Stato?

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Sui maestri diplomati magistrale regna sempre più l’incertezza: in attesa del parere dell’Avvocatura, che però si materializzerà non prima di un mese e mezzo, apprendiamo che il 16 gennaio la sesta sezione del Consiglio di Stato pubblica ha emesso una sentenza che in linea con le altre precedenti all’adunanza plenaria di fine 2017, favorevoli ai docenti ricorrenti. Riconoscendo loro il diritto ad inserirsi nelle GaE. Eppure, nel frattempo è stata emessa, il 20 dicembre scorso, la sentenza negativa ai 43.534 ricorrenti iscritti nelle stesse graduatorie e i 6.669 entrati in ruolo ma con la sentenza ancora non passata in giudicato, non fosse mai stata emessa.

Così, quella sentenza che doveva mettere fine alla contesa sembra ora sconfessata dallo stesso alto organo di giustizia.

Il primo sindacato a commentare la contraddizione è l’Anief, che non a caso ha patrocinato il maggior numero di ricorsi: “non esiste un conflitto di giudicato – fa sapere l’organizzazione – ragion per cui l’adunanza plenaria non aveva motivo di esprimersi. Ora la politica, dopo l’inerzia di quei sindacati che a dispetto dei comunicati ufficiali di questi giorni si sono sempre rivolti alle aule dei tribunali piuttosto che puntare i pugni nei tavoli contrattuali (dal 2002 avrebbero dovuto parlare), trovi subito la soluzione legislativa perché chi è abilitato ad insegnare possa insegnare”.

L’Anief dice di non aspettare l’Avvocatura di Stato: esito scontato

Il sindacato siciliano non chiede, però, “di eludere una sentenza – seppur illegittima – ma di chiarire un concetto semplice: in Italia, il valore legale di un titolo di studio non può scadere. Se sei abilitato ad insegnare devi poter insegnare. Se un posto è vacante e disponibile e se hai un abilitato per insegnare quella disciplina, devi poter esser assunto. Come? Attraverso il sistema del doppio canale: o per superamento di un pubblico concorso o per scorrimento di quelle graduatorie ex permanenti di cui si chiede con urgente l’apertura. Ogni altro discorso è fuorviante, inutile e dispendioso”.

L’Anief ritiene, quindi, che non si può attendere “il parere dell’avvocatura, magari per marzo”. Anche perché l’esito è praticamente scontato: “È come chiedere al nostro studio legale cosa ne pensa. E i nostri legali lo hanno dichiarato per tempo: la Cassazione o la Cedu annullerà la sentenza della plenaria per ripristinare il rispetto del diritto in Italia. Queste cose dirà la delegazione Anief presieduta da Marcello Pacifico, il 17 gennaio, all’incontro al Miur. Altre parole sono inutili, a meno che ci voglia affidare ai giorni fasti del Consiglio di Stato per poter entrare nei ruoli della scuola”.

La combattiva sigla sindacale ha fatto sapere che chiederà formalmente al Miur di farsi da tramite per far approvare un decreto legge d’urgenza che riapra le GaE, sia per i maestri con diploma magistrale sia per tutti gli altri abilitati che stagnano nelle graduatorie d’istituto (quindi anche i laureati in Scienze della formazione primaria e gli abilitati con Tfa).

I sindacati rappresentativi: preoccupa la non reiterazione dei contratti a termine per oltre un triennio

L’incontro si svolgerà il giorno dopo quello tenuto dai sindacati rappresentativi. Al termine del quale, hanno fatto sapere di “avere posto del Miur la necessità di individuare soluzioni atte a rimuovere analoghe ragioni di contenzioso che potrebbero riproporsi anche sul versante degli insegnanti tecnico pratici”.

Le delegazioni Confederali, più dello Snals e della Gilda, hanno quindi fatto sapere di avere “ribadito come la situazione che si sta determinando per i possibili effetti della sentenza del Consiglio di Stato, unita al compiersi del terzo anno di vigenza della legge 107, renda ancor più evidente la pericolosità delle disposizioni contenute nel comma 131 della legge stessa, che prevede la non reiterazione dei contratti a termine per oltre un triennio”.

“Disposizioni al limite del paradosso, con le quali un giusto obiettivo – contrastare l’abuso di lavoro precario – viene perseguito ponendo a carico dei lavoratori, e non del datore di lavoro, le sanzioni che da tale abuso derivano. Un’assurdità, ma prima ancora una palese ingiustizia che va assolutamente impedita, rimuovendone alla radice la causa prima che i suoi effetti abbiano a verificarsi”.