
L’Italia vanta, a livello internazionale, un modello normativo di inclusione scolastica all’avanguardia, un impianto costruito sulla Legge 104/92 e rafforzato dai successivi decreti che hanno formalizzato strumenti come il PEI (Piano Educativo Individualizzato) e il riferimento al modello ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute).
Eppure, chi vive quotidianamente la scuola sa che tra l’eccellenza della legge e la realtà delle classi si apre spesso un divario preoccupante. La discussione attuale si concentra sul cambio di denominazione del docente di sostegno in “docente specializzato per l’inclusione”.
Ma è sufficiente un cambio di nome per sanare un sistema che rischia la paralisi? La mia esperienza mi porta a dire con fermezza: assolutamente no. Il problema non è terminologico, ma culturale, didattico e sistemico. Il cuore della disfunzione risiede nella pratica tossica della delega.
Troppo spesso, il docente curricolare e l’intero Consiglio di Classe percepiscono la presenza del collega specializzato come un’autorizzazione a esternalizzare il processo inclusivo. Il docente di sostegno diventa, nell’immaginario comune e talvolta nella prassi, il “docente dell’alunno” anziché il “docente della classe”.
Questo approccio mina alla base il principio di contitolarità didattica. L’inclusione non è l’applicazione di un piano specialistico in un angolo dell’aula; è un atto di progettazione congiunta e di responsabilità collettiva.
Se il PEI è firmato da tutto il Consiglio di Classe, è necessario che le sue strategie non restino sulla carta, ma informino la didattica quotidiana di ogni singola disciplina. Per trasformare la delega in co-responsabilità, la prima e più urgente leva da azionare è quella della formazione. È impensabile che l’inclusione rimanga confinata a un percorso di specializzazione post-laurea.
- Formazione Iniziale di Base: Tutti i futuri docenti, di ogni ordine e grado e di ogni disciplina, dovrebbero ricevere una formazione universitaria sostanziale e obbligatoria sui principi della Didattica Universale per l’Apprendimento (UDL), sulla lettura e implementazione del modello ICF e sulle metodologie didattiche attive e flessibili (come le Unità di Apprendimento differenziate).
- Riconoscimento delle Competenze Interne: Parallelamente, è cruciale valorizzare le competenze già presenti nel corpo docente attraverso meccanismi di specializzazione interna e incentivi per la funzione strumentale all’inclusione. Un nucleo di docenti “esperti” può affiancare, monitorare e formare i colleghi sulla progettazione inclusiva, alleggerendo il carico del solo specialista.
Il docente specializzato deve poter evolvere da figura di supporto individuale a risorsa strategica per la scuola. Il suo ruolo deve essere quello di un catalizzatore didattico, che coadiuva i colleghi curricolari nella stesura di materiali accessibili, nella valutazione formativa e nella creazione di ambienti di apprendimento che prevengano le barriere, anziché doverle sanare in corsa.
Cambiare il nome alla figura è un gesto politico simbolico, ma non ha impatto sulla quotidianità didattica. La vera rivoluzione non si fa sulla carta intestata, ma nella progettazione curricolare.
Se non investiamo nella preparazione di tutti gli attori della scuola, se non riconosciamo la contitolarità dell’inclusione come un fatto didattico e non meramente assistenziale, continueremo a sprecare il potenziale di una legge straordinaria. L’inclusione, in sintesi, è la cartina di tornasole della qualità di un sistema educativo: una scuola non è inclusiva nonostante la disabilità, ma diventa migliore proprio perché sfida sé stessa per accogliere ogni singola persona.




