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Dopo il Nobel per la fisica a Parisi, perché non valorizzare la cultura scientifica nelle scuole?

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Ha ragione Daniele Marini, sociologo vicentino, che, in un sua analisi di queste elezioni, ha detto con chiarezza che “la grande maggioranza della popolazione del Nordest non ha perplessità sul ruolo dei vaccini, cui guarda con largo favore. Il composito mondo dei No-Vax, in realtà, rappresenta una quota marginale, benché nella rappresentazione mediatica occupi uno spazio rilevante, in virtù dell’esposizione assegnata. Piuttosto, maggiore attenzione dovrebbe essere posta a quella fascia di popolazione non contraria a priori, ma che richiede più informazione. Una volta di più, è l’azione educativa a costituire una leva fondamentale.”

In altri termini, una delle ragioni che stanno a monte dell’’astensionismo, quindi del mancato coinvolgimento in queste elezioni amministrative, le più vicine al vissuto delle persone, è la difficoltà che sconta il nostro Paese nella formazione scientifica. Direi ancora di più, nell’assenza di un accompagnamento epistemologico, riguardante la metodologia della ricerca, a volte anche in persone che, per professione, sono addentro alle professioni sanitarie.

Se poi uniamo questa carenza al rilievo, più volte avanzato, di criticità nella lettura e comprensione di testi scritti e orali, come ci dice ogni anno l’Invalsi, abbiamo il mix che può far capire il sottofondo scettico che è alla base di tante discussioni sui temi rilevanti imposti dalla pandemia. Per non parlare dei docenti, i quali raramente hanno incontrato, nei loro percorsi formativi, temi legati al mondo della ricerca scientifica. Gli unici strumenti che hanno le scuole sono le brevi introduzioni ai manuali scientifici oppure alcuni capitoletti nei manuali di filosofia.

Ilaria Capua è stata ancora più drastica, parlando di analfabetismo scientifico. Se in più aggiungiamo alcune confusioni a livello di comunicazione e il gioco da vedette di alcuni virologi e epidemiologi, è facile capire che orientarsi non è stato facile.

Anche il neo-premio Nobel della fisica, Giorgio Parisi, erede della grande scuola italiana, non fa sconti, affermando che “ci sono forti tendenze antiscientifiche nella società attuale. Il prestigio della scienza e la fiducia in essa stanno diminuendo velocemente, le pratiche astrologiche, omeopatiche e antiscientifiche si diffondono largamente insieme a un vorace consumismo tecnologico e fideismo nella tecnologia. Ma questa sfiducia di massa nella scienza è dovuta anche al fatto che la scienza insiste a presentarsi come superiore al gioco delle parti e in un certo senso sapienza assoluta, rispetto agli altri saperi opinabili, quando in realtà non lo è affatto.”

In altri termini, una corretta formazione scientifica deve puntare al valore, ma anche al limite, senza scadere nello scientismo, il quale fa da pendant allo scetticismo antiscientifico. A questo punto mi verrebbe da fare una proposta alle scuole di ogni ordine grado, ed in particolare ai consigli di classe.

Di preparare dei percorsi interdisciplinari puntando sul valore e sulle differenze tra cultura scientifica e le altre culture, cioè agli altri approcci allo studio della realtà. Che cosa sono in fondo le materie di studio se non diverse finestre sul mondo, con modalità proprie di analisi e di approfondimento? Puntare l’attenzione in questo anno scolastico in particolare sulla specificità della cultura scientifica, meglio, delle culture scientifiche, per aiutare a comprendere che, per dirla col fisico Carlo Rovelli, “la realtà non è come appare“, e non è nemmeno riducibile al gioco delle opinioni, le quali, se fine a se stesse, come è nei social, avveleno proprio la quotidiana fatica delle nostre scuole, delle università e dei centri di ricerca.

Resta la questione posta più volte: se è vero che i limiti della nostra “leggibilità” del mondo coincidono con i limiti del nostro linguaggio, compreso il sempre più ristretto vocabolario personale delle parole e dei concetti che usiamo, è chiaro che tutte le discipline sono tenute a contribuire, da angolazioni diverse, ad arricchire le nostre rubriche di parole, di concetti, di sensibilità, di prospettive.

Il rischio è il progressivo impoverimento, come si vede sui social, della nostra autonoma capacità di stare al mondo, senza dipendere dagli altrui, comprese le fake news. Ecco il pensiero critico, quello che domanda sempre oltre, anche oltre le proprie opinioni, credenze, punti di vista.