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Felicità e istruzione non danno al medico funzione

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Chi infatti ha un titolo di studio elevato ha migliori funzionalità fisiche e mentali e si ammala meno di quasi tutte le patologie, eccetto i tumori. A stabilirlo sono i risultati del Rapporto elaborato dal team di ricerca del Ceis dell’università Tor Vergata di Roma con la Fondazione Angelini, coordinato da Leonardo Becchetti, professore di Economia politica di Tor Vergata, che verranno presentati il 4 febbraio a Roma.

La ricerca è stata effettuata, pubblica l’agenzia Adnkronos, su più di 100 mila osservazioni individuali sulla popolazione over 50 di 19 Paesi europei, per stabilire come fattori chiave (stili di vita, relazioni sociali, istruzione, spesa sanitaria e salute percepita) incidono sulle malattie croniche e funzionalità fisiche e mentali. In termini di rischio relativo – evidenzia il rapporto – chi ha non fatto più della scuola elementare ha probabilità quasi doppie di ammalarsi nei tre anni e mezzo successivi di diabete o di avere un attacco di cuore di chi ha fatto la scuola superiore. Ancora meglio per i laureati.

 

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“In particolare – emerge dallo studio ‘Salute e felicità in Italia e in Europa: i fattori chiave dell’active ageing’ – le persone che, a parità di tutte le altre condizioni (incluse quelle correnti di salute), dichiarano una salute ‘povera’ hanno una probabilità di variazione nel numero di malattie croniche fino a 3-4 volte superiori nei tre anni successivi rispetto a coloro che dichiarano uno stato di salute eccellente”. Quindi anche come ci si sente ha il suo peso.

In quasi tutto il mondo i laureati vivono più di chi ha solo la scuola dell’obbligo – osservano i ricercatori – La differenza va dai 10 anni negli Stati Uniti ai 3 anni stimati in Italia. Ad esempio: la quota degli ipertesi tra la popolazione con licenza elementare è 41% contro il 30% tra i laureati, quella del diabete del 15% contro l’8%. Il lavoro indica altresì che ciò dipende sia dall’adozione di stili di vita più sani (con l’eccezione della percentuale di fumatori che non è più bassa tra i laureati), sia dalla capacità di utilizzare meglio l’informazione medica ricevuta.

Per gli esperti la chiave di volta è la soddisfazione di salute soggettiva: “Questa ha un valore predittivo – concludono – fondamentale per l’insorgenza e l’evoluzione di malattie croniche negli anni a seguire anche quando si controlla per tutti i possibili fattori concomitanti tra cui lo stato presente di salute del paziente”. Ma non è tutto. Il rapporto, ‘Salute e felicità in Italia e in Europa: i fattori chiave dell’active ageing’, ricorda che il sovrappeso e l’inattività fisica sono due fattori negativi con “impatti molto significativi sulla variazione delle malattie croniche nella popolazione”, il che si tradurrebbe se partissimo da una popolazione perfettamente sana in una probabilità individuale inferiore del 30% di contrarre una malattia cronica.

Infine, secondo i ricercatori “l’attività di volontariato e più in generale una buona qualità della relazioni affettive, migliora le funzionalità e riduce le patologie – osservano – tra cui anche la probabilità di contrarre tumori, con effetti di risparmio considerevoli per il sistema sanitario. In termini di rischio relativo, chi non fa volontariato ha probabilità quasi doppie di ammalarsi di tumore nei tre anni e mezzo successivi”.