Home Archivio storico 1998-2013 Indicazioni nazionali Fini: il modello resta una scuola pubblica di qualità

Fini: il modello resta una scuola pubblica di qualità

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La precarietà degli insegnanti è un aspetto che ha una valenza minore del problema generale, che è la qualità generale dell’istruzione“. Fa un certo effetto sentire pronunciare certi concetti dalla terza carica dello Stato, il presidente della Camera Gianfranco Fini. Il leader del neonato Fli, intervistato a Piacenza da Stefano Folli durante il Festival del diritto, non ha usato la diplomazia per dire che “in Italia si considera il ruolo dei docenti come un ripiego” mentre all’estero “ritengono che l’insegnamento sia così meritorio che gli stipendi sono almeno la metà in più di quelli italiani“.
Quella del presidente della Camera non è solo una critica all’attuale considerazione e valorizzazione del sistema d’istruzione italiano: da parte sua c’è anche un vero e proprio altolà ad eventuali aperture ai modelli strategici educativi liberisti d’oltre Oceano. Fini ha ricordato, infatti, che la scuola pubblica “è un caposaldo della democrazia” e della “possibilità di crescita della società” che va preferito al modello Usa che porta “ad aumentare le disuguaglianze e le divisioni“.

In Italia, ha continuato, “una delle grandi intuizioni è stata quella di incentrare nella scuola pubblica uno dei capisaldi della difesa non solo della nostra democrazia, ma anche uno dei capisaldi della possibilità crescita della nostra società. Il che – ha aggiunto – non vuol dire che scuole di altra natura non debbano contribuire o che non siano essenziali, ma attenzione a non mettere in campo, magari in modo inconsapevole, un modello di istruzione sul modello degli Stati Uniti al posto di un modello europeo e della tradizione italiana“.
Secondo Fini “è indubbio che c’è un enorme differenza qualitativa all’interno degli istituti, delle Università, dei college, che non fa che aumentare le disuguaglianze e le divisioni. Il modello italiano deve essere opposto”. Altrimenti “in teoria garantiamo il diritto allo studio, ma in realtà lo neghiamo perché non mettiamo in campo una politica che rimuova le diseguaglianze“.