Giornata mondiale del docente 2022. Pupi Avati: auguro agli insegnanti che uno studente torni da loro e dica grazie

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“Cosa auguro ai docenti? Che quello che hanno fatto, il lavoro che fanno, produca dei frutti. Cioè auguro loro che dopo qualche anno un ragazzo torni dal suo docente e gli dica: grazie, avendo lei come docente, ho fatto una scelta giusta di vita, ecco lei ha avuto un ruolo nella mia vita. La riconoscenza è fondamentale. Dopo qualche anno è la riprova, la cartina di tornasole che quello che si sta facendo ha un senso. A dare senso a un mestiere, non è solo lo stipendio, che tra l’altro per i docenti è bassissimo, insufficiente, un mestiere ha senso per quello che fai. I docenti hanno una responsabilità enorme, devono educare a sognare, devono trasmettere la voglia e il coraggio di sognare”. A dichiararlo ai microfoni della Tecnica della Scuola, in occasione della giornata mondiale del docente, è Pupi Avati, il regista che in queste settimane porta in sala il suo ultimo lavoro, Dante, di cui abbiamo discusso in una lunga intervista.

Maestro, da dove è nata questa idea? E il Pupi Avati studente che rapporto aveva con il Dante studiato sui libri di scuola? Il suo amore per Dante è stato mediato da un docente o è venuto da lei?

“È venuto da me, da una mia prassi generale per apprezzare un’opera: io devo conosce l’autore. Debbo sapere tutto della sua biografia, dalla sua nascita alla sua morte. E allora il mio approccio a Dante è passato attraverso la Vita Nova, questo diario giovanile che lui redige all’indomani della morte di Beatrice, fu veramente commovente, un insieme di prosa e poesia. Pensi che i sonetti che sono contenuti nella Vita nova ancora oggi ci commuovono”.

“La mia scuola – racconta – non assomiglia per niente alla scuola odierna. Ma poi la scuola, nel suo evolversi, l’ho vissuta attraverso i miei figli e ora attraverso i miei nipoti. Quindi ci sono generazioni diverse che hanno incontrato la scuola e devo dire con un miglioramento continuo, nel senso che i miei nipoti, per esempio, amano la scuola”.

“Ed è un fatto innovativo. Ecco, la scuola dovrebbe insegnare, e secondo me ha imparato a farlo, ad amare la cultura e a farsi piacere, a far sì che il professore che ha scelto quelle materie a cui ha dedicato tutta la propria vita, faccia passare l’amore che prova per quelle materie”.

Ma quanto ha impiegato per metabolizzare questo film, prima o poi di portarlo sul set?

“Io mi ritenevo pronto 22 23 anni fa, quando portai per la prima volta la proposta in televisione. In realtà ho dovuto aspettare 23 anni, però in qualche misura sono serviti. Perché adesso la panoramica è più ampia. Io sono un bibliofilo pazzo. Credo davvero di possedere la gran parte dei testi in italiano che sono stati pubblicati, alcuni reperiti addirittura in Canada”.

Il maestro non è solo quello di scuola, ma anche quello dell’arte, del cinema. Per lei che significa essere maestro? Quali sono stati i suoi maestri?

Come Boccaccio ebbe solo Dante, io ho avuto solo Federico Fellini. Anzi, solo un film di Federico, Otto e mezzo. Noi ragazzi andavamo al cinema tutti i giorni, a vedere qualunque cosa. Amavamo il cinema per il cinema, ecco. E però quando ho visto Otto e mezzo io ho scoperto che cos’era il cinema. La potenzialità del cinema che può raccontare quello che c’è e quello che non c’è. L’impensabile. Cioè Fellini veramente ha forzato quella barriera angusta del neorealismo, della realtà per andare nell’irrealtà. E questa è una cosa che mi ha profondamente affascinato”.

Ma dei suoi anni di scuola, cosa resta? Cosa ha portato dentro? C’è un docente che le ha trasmesso qualcosa che la influenza ancora oggi?

“Sì, il mio professore mi ha trasmesso l’amore per Pascoli, un piacere sublime. Io ho tentato nella mia vita più volte di fare un film sulla vita di Giovanni Pascoli, ma non me lo hanno mai permesso. È un miracolo dar vita a un romanzo d’ambiente. Perché lei sa cosa penso? In Italia ti fanno fare un film su Wanna Marchi ma non ti fanno fare un film su Pascoli”.

Prima ha accennato al fatto che sta vivendo questi anni di scuola da nonno o da genitore. Ma Pupi Avati che genitore è stato negli anni di scuola dei propri figli? Che tipo di rapporto ha instaurato con gli insegnanti dei suoi figli? Perché almeno oggi noi viviamo un rapporto anche abbastanza conflittuale tra i docenti e i genitori.

“Pupi Avati è stato un genitore pessimo, nel senso che ero totalmente assente. Per fortuna c’è stata mia moglie, che ha seguito tutti i nostri figli. Io ero distratto, lo sono ancora, in questa competizione continua che è la mia vita, perché la mia vita è una vita da giocatore d’azzardo. Quando esce un film è come dire banco. Tuttavia l’idea che il professore abbia sempre ragione mi ha accompagnato per tutta la vita, cioè l’autorevolezza del ruolo del docente non l’ho mai messa in discussione davanti ai miei figli, perché per definizione lui non può non essere un professore, quindi non può non avere ragione”.

In un Paese ideale chi vorrebbe come ministro dell’Istruzione?

“Un poeta. I poeti sono le persone migliori della nostra società perché non sono mai stimolate da una forma di successo commerciale. Ciò il poeta scrive e magari a volte riesce anche a pubblicare, ma per una sua urgenza, non è certamente motivato dal fatto di vendere copie, di vincere premi o di diventare una star”.

“Poi ecco, il poeta ha un’idea di bellezza che è molto, molto alta, molto speciale. E allora mi piacerebbe avere un ministro poeta, che sappia farmi amare, quando sono ragazzino, non solo Dante Alighieri, ma tutta la bellezza del mondo, è fondamentale”.