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Il Brasile cede i proventi petroliferi alla scuola. E l’Italia rimane a guardare

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È possibile che l’Italia debba prendere lezioni sul rilancio dell’istruzione pubblica anche da Paesi del Sud America, dove il livello culturale medio e il numero di bambini che vanno a scuola non è nemmeno paragonabile a quello della nostra Penisola? Eppure è possibile.
Basta andare a leggere i lanci delle agenzie di stampa del 1° dicembre per averne la riprova. Il protagonista è il presidente del Brasile, Dilma Rousseffche, che ha comunicato l’approvazione di un decreto di cui si parlerà a lungo: i proventi delle nuove concessioni petrolifere del Brasile andranno tutti a finanziare la scuola.
Non ci sono trucchi o inganni: il decreto, approvato da Dilma, riporta proprio che “il 100% delle royalties dei nuovi contratti” sarà devoluto al sostegno dell’istruzione.
Per capire la portata del provvedimento basta andare a leggere le cronache dei quotidiani. Nel 2011, ha scritto El Pais, le entrate garantite dalle concessioni petrolifere sono stati pari a 13.000 milioni di real (circa 4.600 milioni di euro), che potrebbero aumentare a fronte del via libera concesso dal governo per l’esplorazione di nuovi giacimenti. Il ministro dell’Istruzione, Aloizio Mercandante, ha sottolineato il valore storico della decisione del governo: “non c’è futuro migliore per il paese – ha detto il responsabile dell’istruzione brasiliana – che investire nell’istruzione“.
Per il ministro, “solo l’istruzione renderà il Brasile un Paese veramente sviluppato, dal momento che l’istruzione è il fondamento di ogni futuro sviluppo economico“. Nonostante la sua forza economica, infatti, il Brasile continua a rimanere nel fanalino di coda per la qualità dell’istruzione: il 40% degli studenti che iniziano gli studi superiori, li abbandona prima di completarli.
Il Parlamento brasiliano aveva approvato il 6 novembre scorso questo progetto di legge piuttosto controverso, perchè prevede un’equa distribuzione dei proventi tra tutti i 27 Stati del Paese, produttori o meno di petrolio. La norma aveva quindi ottenuto il via libera del Senato e non rimaneva che la decisione del Presidente. La legge porta dal 30 al 20 per cento le royalties per il governo federale e dal 26 al 20 per cento quelle per gli Stati produttori; gli Stati non produttori le vedranno invece aumentare dal 7 al 21 per cento entro il 2013 e fino al 27% nel 2020.
Fin qui la cronaca di quello che è stato deciso in Brasile. E in Italia cosa si fa? Il copione è sempre lo stesso: nella migliore delle ipotesi si mantiene l’assetto originario. Spesso, però sempre più spesso, la tendenza è quella di tagliare. Dal numero degli insegnanti alla quantità dei fondi destinati agli istituti, dalla quantità delle classi a quella delle sedi dove si fa lezione.
È di pochi giorni fa la proposta di Carlo De Benedetti di convogliare sull’istruzione le copiose spese che il Paese sostiene per gli apparati militari e le missioni di pace: per il famoso industriale, conosciuto in tutto il mondo, una nazione che intende migliorarsi ha deve puntare sulla “testa” dei suoi cittadini. Se investissimo nel sapere evidentemente costruiremmo il nostro futuro”, ha spiegato De Benedetti.
Le sue parole, tuttavia, non sembrano aver mosso troppe coscienze. Quando si parla di scuola, purtroppo, funziona così: è come se si parlasse di un tema astratto.
Qualche reazione, comunque, c’è stata. Come quella di Marcello Pacifico, che parlando a nome di Anief e Confedir ha giudicato la proposta convincente. Se non altro perchè ha “il merito di aprire il dibattito nell’opinione pubblica sulla necessità di trovare a tutti i costi una fonte da cui attingere risorse per rilanciare l’istruzione e la ricerca nel nostro Paese”.
L’auspicio di Carlo De Benedetti – ha continuato Pacifico – rappresenta finalmente un segnale opposto alla politica miope dei tagli di risorse e di finanziamenti che in questi ultimi dieci anni ci ha sempre più allontanato dalla crescita globale”.
“Lo hanno capito in Germania e negli Stati Uniti, dove gli investimenti per l’istruzione non si toccano, anzi si incrementano. In Italia, invece, le ultime proposte calate dell’alto mirano ancora una volta a produrre risparmi nella scuola. Come quella dell’aumento delle ore d’insegnamento settimanali dei docenti italiani in servizio nella scuola media e superiore: un’idea balzana del Governo, saggiamente cancellata in Parlamento, che sarebbe stata funzionale solo al risparmio di altri milioni di euro da sottrarre – ha concluso amaramente il sindacalista Anief-Confedir – all’istruzione dei nostri giovani”.